lunedì 29 settembre 2014

14. Corri


Correre nella foresta era terribilmente rischioso.
Ma stare fermi lo sarebbe stato di più.
I due fuggitivi avevano avuto a mala pena il tempo di recuperare il prezioso cuscino dai rottami dello schianto prima di darsela a gambe, per niente ansiosi di scoprire cosa stava accadendo.
"Cos'è quello?" urlò Elysa, indicando dietro di sé.
Lio si voltò un istante senza fermarsi; un oggetto volante, simile ad un fiore metallico capovolto, roteava a diversi metri dal suolo. Non aveva mai visto nulla di simile, doveva trattarsi di un oggetto non umano.
Lio riportò la sua attenzione sulla strada che stava percorrendo, e si rese conto di essere a pochi centimetri da un albero. Si slanciò di lato per evitarlo, ma ormai era troppo tardi: colpì il tronco con la spalla, piroettando di trecentosessanta gradi. Tuttavia, conclusa l'acrobazia, contenne sia il dolore sia l'equilibrio, e continuò imperterrito la sua corsa.
"Tutto bene?" chiese la ragazza, che correva agilmente tra i fiori arborei sfruttandoli per darsi maggiore spinta con le braccia.
"Sì. Corri."
Corsero finché non ebbero più fiato in gola, e continuarono anche oltre. Lo spavento garantiva loro energie straordinarie.
Solo dopo un lungo tragitto si resero conto di non essere inseguiti, ma la prudenza non era mai troppa; si acquattarono tra le radici scoperte di un enorme fiore arboreo e ripresero fiato.
"Che diavolo è quella roba?" chiese Lio, ansimando.
"Non ne posso essere certa" rispose Elysa, appoggiandosi al tronco. La corsa aveva donato un po' di colorito al suo pallore "ma credo che fosse tecnologia Protoss."
"Protoche?" domandò Lio, dubbioso.
Elysa lo guardò sorpresa. Poi, appena si rese conto che diceva sul serio, lo fulminò con lo sguardo.
"PROTOSS! La razza aliena millenaria che ha causato centinaia di morti in tutto il settore!"
Lio si guardò attorno, spaesato.
"Ma dove diavolo sei stato per tutta la vita? Come fai a non conoscere i Protoss?!"
"Sono stato in una prigione tagliato fuori dal mondo, se proprio vuoi saperlo! Mi spiace non essere Mister Ultime Notizie!" rispose Lio, acidamente.
Elysa ruotò gli occhi, e tirò un sospiro di pazienza "Bè, ti basti sapere che i Protoss sono una razza aliena tecnologicamente avanzata, dotata di armi pesanti e iperdistruttive ma al contempo in grado di teletrasportarsi agilmente ovunque. Sono forti e pericolosi. Meglio non averci a che fare."
"Non vedo un solo motivo per farlo." commentò Lio "Anzi, visto che adesso sanno della nostra presenza, sarò molto felice di trovare un modo per svignarcela da questo pianeta."
"Non sarà facile..." sospirò la ragazza, aggiustandosi la benda al braccio. "Se i Protoss sono qui, questo pianeta non può essere altro che Resvelg."
Lio spalancò gli occhi per la sorpresa "Sai dove siamo?"
"Certo che lo so, mentre ero prigioniera del Magistrato non ho studiato solamente i corridoi dell'astronave: mi sono procurata anche la rotta che avremmo seguito, per sapere dove rifugiarmi una volta fuggita. Potevamo approdare su una colonia sperduta e far perdere le nostre tracce, o su un affollato pianeta commerciale e mescolarci alla folla risultando introvabili."
"E invece?"
"E invece qualcuno ha mandato tutto a monte e siamo finiti qui."
Lio strinse i denti e portò gli occhi al cielo "Non ricominciare."
"Questo è il sistema Resvelg-Lerad, ed è completamente disabitato dalla civiltà umana" tagliò corto Elysa "quindi, andarsene sarà tutt'altro che semplice."
Lio si abbandonò contro il tronco del Fiore Arboreo. Non avrebbe potuto ricevere notizia peggiore.
Tutte le sue promesse si stavano rivelando null'altro che parole. Non era riuscito a vendicare la morte di Zero e di tutti i suoi compagni, non era riuscito a salvare Derek, e non sarebbe nemmeno riuscito a tornare un'ultima volta su Nidhogg.
La storia di West Braxis sarebbe finita con lui, morto da qualche parte in una giungla sconosciuta, senza nemmeno la possibilità di salutare un'ultima volta la bandiera del suo clan distrutto.
"NO!" sbraitò impulsivamente "Non mi arrendo! Ho promesso a Derek di salvarlo, ho promesso a Zero di vendicarlo! NON PUÒ FINIRE COSÌ!"
Elysa arretrò, intimorita da quello scatto d'ira. "Ehy ehy ehy, calmati. Voglio andarmene tanto quanto te, ma come possiamo fare? Non abbiamo nulla!"
"Ruberemo una nave di quei Protoss, aggiusteremo la navetta con cui siamo arrivati o ci faremo spuntare delle fottute ali, non me ne frega un cazzo! IO NON MORIRÒ QUI!"
Una lacrima rigò il volto pieno di rabbia di Lio. Lui non se ne accorse, ma Elysa sì.
"Ok." si limitò a sentenziare.
Lio si drizzò in piedi, uscendo dal loro piccolo nascondiglio.
"Non possiamo tornare ora alla navetta, è troppo rischioso." rifletté, poggiandosi le mani sui fianchi e guardando verso l'alto. "Quest'albero è un po' più alto degli altri. Saliamo e scopriamo come siamo messi."

Fu un ardua scalata, ma alla fine ce la fecero entrambi.
Lio dovette destreggiarsi anche tenendo un angolo di cuscino tra i denti, ma il tronco del fiore arboreo era molto rugoso, con solchi sufficienti a contenere una mano. Tanto bastò ai due fuggiaschi per arrivare in cima.
Una volta poggiati i propri piedi su gli enormi petali della pianta, Elysa e Lio si guardarono attorno. Il silenzio tra i due rimase granitico per qualche minuto.
"Bè genio, almeno sappiamo che non siamo soli." commentò Elysa, ironica. "Questo è meglio o peggio?"

lunedì 22 settembre 2014

13. Vivi


L'afa rendeva l'aria pesante.
Le copiose piogge dei giorni precedenti avevano gonfiato ruscelli e rigagnoli, che in quel momento correvano tra gli alberi verso valle.
Pochi rumori oltre allo scorrere dell'acqua interrompevano il sacro silenzio della foresta. Le gocce che si accumulavano e cadevano dalle ampie foglie dei Fiori Arborei cadevano a terra senza rumore, assorbite dal fitto tappeto di piantine.
L'umidità incrementava il calore nell'aria. Poche creature sembravano a loro agio in quella foresta afosa.
Un Ragnomosca di grandi dimensioni svolazzava pigramente da un fiore arboreo all'altro, cercando qualche cella di nettare ancora piena di cui nutrirsi. Di norma un Ragnomosca non supera le dimensioni di un gatto, ma l'esemplare era riuscito a crescere ulteriormente divorando tutte le risorse a cui era riuscito ad accedere. Tuttavia, la stazza lo rendeva ancora più bisognoso di nutrimento, e ciò lo costringeva a spostarsi continuamente, in cerca di nuove fonti di cibo.
Si apprestava a lasciare l'ennesimo Fiore Arboreo privo di nettare, quando avvertì un forte odore di carne morta portata dal vento.
Istintivamente, il Ragnomosca spiegò le quattro ali trasparenti e iniziò a farle vibrare; sbattendo contro il grosso e peloso addome, le ali riuscirono a sollevare il corpo grassoccio dell'insettoide, provocando un profondo e fragoroso ronzio.
L'odore e la promessa di un pasto facile guidarono l'animale direttamente alla fonte: un corpo umano, o meglio, ciò che ne rimaneva.
Dapprima titubante, il Ragnomosca saggiò con i sui barbigli il sangue rappreso attorno ai resti della carcassa; ma in breve la fame ebbe il sopravvento, e le sue quattro fauci si aprirono per addentare un lembo di intestino penzolante.
Il morso non arrivò a chiudersi.
Come un fulmine a ciel sereno, un coltello aprì in due la testa dell'animale.
"Evvai, questo è grosso!"

Lio ridiscese dal tetto della navicella, malamente conficcata nel terreno e sostenuta dai tronchi squarciati dall'impatto. Il sole era sorto tre volte da quando si erano schiantati, ma le giornate in quella foresta umida e bollente sembravano durare settimane.
Si lanciò, atterrando ammortizzando il salto e badando bene di non perdere la presa sull'insettoide che aveva appena ucciso e che teneva sottobraccio. Lio sputò a terra, tentando di scacciare dalle narici l'odore pestilenziale nell'aria. La carcassa del Marine, o meglio la metà che si erano portati dietro fuggendo, si era rivelata un'ottima esca per procacciarsi grosse prede, ma il prezzo da pagare era il tanfo ogni giorno più pungente.
Il corpo morto dell'animale era voluminoso ma leggero. Lio entrò nella navicella e lo buttò a terra.
Elysa era seduta in un angolo, appoggiata al muro col cuscino dietro la schiena.
"Come va la ferita?" chiese Lio.
"Come sempre." rispose lei quasi sottovoce, sistemandosi il bendaggio di fortuna che aveva attorno al braccio. Lio era uscito sballottato ma illeso dall'impatto, Elysa invece presentava un taglio profondo che andava da spalla a gomito sinistro.
Lio tornò a concentrarsi sull'animale. Con mano ferma, affondò il coltello nel'addome dell'insettoide, aprendolo da cima a fondo. La ragazza distolse lo sguardo, inorridita.
Lio continuò la sua opera di macellazione: separò le due metà dell'addome, si fece largo tra il sangue e i fluidi appiccicosi, tagliò via con cura le due sacche di uova speculari ed estrasse i due morbidi filetti bianchi che facevano da cuscinetto a queste ultime.
Lio ne addentò uno senza troppi complimenti.
Per sapore e consistenza, sembrava di mangiare budino al gusto di niente. Tuttavia riempivano lo stomaco, e il coraggio di Lio nell'assaggiare quel pezzo di carne giorni prima gli aveva garantito la sopravvivenza a pancia piena.
Mentre dava un altro morso, porse il secondo filetto a Elysa. Lei si ritrasse come se la stesse minacciando di morte.
"Devi mangiare." la rimproverò.
"Io non mangio niente che sia uscito da quell'essere mostruoso!"
"Ma è buono!" insistette, mordendone ancora.
"Non importa! È uno schifo! Vai via!" urlò lei, riparandosi gli occhi con le mani.
Lio sospirò, chiamando a sé tutta la pazienza che aveva a disposizione. "Da quando siamo qui, tutto ciò che hai mandato giù è dell'acqua piovana. Sei ferita e hai perso molto sangue, sei smagrita e molto pallida. Lo so che sembra una cosa vomitevole, ma ti assicuro che questo pezzo di carne è perfettamente commestibile."
"Ma io..."
"Niente ma. Non abbiamo scelta. Se vuoi sopravvivere devi ascoltarmi."
Elysa parve cambiare pian piano opinione, rialzando lentamente lo sguardo.
Di scatto, si alzò e fissò Lio negli occhi.
"Senti chi parla! Se TU avessi ascoltato ME, ora non saremmo qui!"
Lio chiuse gli occhi. Era riuscito a mantenere la calma fino a quel momento, doveva resistere ancora.
"Non ha importanza ora."
"Certo che ha importanza! Se tu non fossi impulsivo e testardo come sei, non ci troveremmo in questa situazione di merda!"
"SÌ, È UNA SITUAZIONE DI MERDA!" sbottò infine Lio "Lo vedo bene, so come siamo messi! So che è colpa mia! So che me lo rinfaccerai ogni volta che mi vedrai da qui all'eternità! Ma so anche che se non reagisci a questa situazione e non mangi qualcosa, allora morirai! Quindi che vuoi fare, ripetermi che è colpa mia o mangiare questo fottuto pezzo di carne?"
Elysa abbassò lo sguardo, non trovando nulla da rispondere.
"E va bene" acconsentì, dopo qualche attimo di silenzio. "Ma ad una condizione. Se devo mangiare quella cosa, la voglio cotta."
"E come facciamo a cuocerla? Non abbiamo una cucina su questo trabiccolo!"
"Basta un fuoco per cuocere la carne, genio! Non sei mai stato in campeggio?"
"No, mai stato. Ma una cosa la so: con questa umidità, non riusciremo ad accendere neanche una discussione."
Elysa si grattò la testa, riflettendo. "Magari con il carburante della nave un po' di legna potrebbe ardere anche se umida. Tanto a questa navetta non servirà più."
Lio pensò prima di rispondere. Come compromesso era ben accettabile, e in fondo anche a lui la carne cotta avrebbe dato più soddisfazione di quella cruda. Inoltre, un fuoco per asciugarsi avrebbe fatto comodo, in quell'aria umida e afosa.
"Molto bene. Proviamoci."

Non fu facile.
Il terreno all'esterno della nave era impregnato d'acqua, e ciò non facilitava le cose. L'unica situazione attuabile fu appiccare il falò dentro la navicella.
La soluzione parve funzionare, anche se il metallo attorno alle fiamme era diventato rovente e il fumo tendeva ad accumularsi nell'abitacolo. Aprendo tutti i portelli la situazione migliorò leggermente, e il metallo arroventato si rivelò essere un' ottima piastra per il filetto di Ragnomosca alla griglia.
"Questo fumo allontanerà le prossime prede" constatò Lio, amareggiato.
"Puoi sempre spostare il nostro amico esca altrove per ammazzare quelle orrende bestiacce" propose Elysa, a bocca piena.
Lio si ficcò in bocca l'ultimo pezzo di carne. Abbrustolita, almeno acquistava un po' di sapore.
Uscì dall'aria affumicata della navetta e si tuffò in quella umida all'esterno; Elysa lo seguì, ed entrambi si sedettero sul tappeto di piantine verdi.
Era bello rilassarsi, nonostante tutto.
"Che faremo?" chiese Elysa.
"Rimettiamoci in sesto adesso" rispose Lio "quando saremo in forma, vedremo il da farsi. Cercheremo una città, ci sposteremo, insomma inventeremo qualcosa."
"Niente in contrario" disse lei, sdraiandosi. Lio la imitò. Se ne rimasero in silenzio, a guardare il cielo terso, ad eccezione della colonna di fumo che saliva dalla navetta.
Lio fu colto da un dubbio. "Ma non è che la colonna di fumo ci rende individuabi-"
WAMP.
Una palla di elettricità, una specie di ammasso di fulmini blu, apparve sopra di loro, dal nulla.
"Merda."

lunedì 1 settembre 2014

#RandomMadness - Animal Life

Mi sveglio.
Sono sul mio divano. Non ricordo di essermi addormentato. La mia bocca è pervasa dal gusto amaro del caffè, che non è bastato a tenermi vigile.
Mi alzo. Addormentarmi è stata una pessima idea. Non ho il tempo di dormire, devo raccogliere...
Bussano.
Ci siamo.
Spero che non sia lui fino all'ultimo secondo, fino all'ultimo momento in cui la porta mi nasconde dalla sua vista. Ma in cuor mio so che è lui. E infatti è così.
“Sei in ritardo. Puoi pagarmi oggi?”
Quella voce stridula, quel pelo marrone, quella coda a strisce, quella bocca bavosa da cui sporgono le tue zanne da mangiatore di carogne, quella mascherina tatuata sui tuoi occhi che urla al mondo il ladro che sei. Inconfondibile. Ti odio, Nook.
“N-Non posso...” balbetto. Sono stordito. Ma che ora ho fatto ieri notte?
“Lo immaginavo” commenta lui, deridendomi. L'ondata di rabbia mi rende un po' più lucido. “Sentiamo, che scusa hai questa volta?”
“La solita di sempre, maledetto strozzino. Le stelline non crescono sugli alberi, e mi ci vuole tempo per raccogliere una cifra così esosa.”
“Quanta rabbia” sembra che si stia divertendo un mondo “se non puoi adempiere al tuo debito non è certo un problema mio. Potrei confiscare i tuoi averi, ma sarò magnanimo” si volta e si avvia lungo il vialetto. Sospiro. Anche oggi l'ho scampata.
“Ti do ancora una settimana di tempo per farmi avere le 600'000 stelline che mi devi.”
Sono abbastanza sicuro che il mio cuore abbia smesso di battere. Mi aggrappo alla porta per non cadere.
“M-ma fino a ieri erano 400'000!” riesco a balbettare.
“Davvero? Eppure il contratto parla chiaro” risponde lui, facendo il finto tonto. Non so se scoppiare in lacrime o lanciargli le mani alla gola. Mi guarda rivolgendomi un sorriso maligno. Dall'angolo della sua sporca bocca cola giù un filo di bava. Disgustoso.
“Mi spiace andarmene subito, ma ho molti altri impegni che mi attendono. Cerca di non deludermi stavolta.”

Mi prendo il resto della mattinata per riflettere. Come diavolo ho fatto a ridurmi così? Devo essere il sindaco più sfigato della storia.
Cammino per la mia città. I miei cittadini non sospettano niente, e mi salutano cordialmente.
“Grazie e buongiorno anche a te!” dico.
'Datemi un po' di soldi invece dei vostri soliti abiti usati e inguardabili' penso.
Evito di trattarli troppo male, non se lo meritano. Non tutti almeno.
La mia città è bellissima. Le fontane, le panchine, i lampioni, le strade pulite. Mi sono impegnato al massimo per realizzare qualcosa di bello. Ma quell'impegno mi ha accecato, e non ho visto il dramma che mi si parava alle spalle.
Scendo in spiaggia. Il mare è calmo e limpido. Quasi preferirei che scoppiasse un temporale, sarebbe più adatto al mio umore.
Fisso l'orizzonte in lontananza. Laggiù, oltre la vista, c'è l'arcipelago...
“No. Ho detto basta, e allora basta.”
Ma so che lo farò di nuovo. So che ho BISOGNO di farlo di nuovo.

Il cielo è ormai a tinte rosse.
Lascio tutte le mie cose in casa. Esco, chiudo la porta e mi avvio verso il molo. Faccio molta attenzione, non voglio essere visto mentre ricado di nuovo nel tunnel.
Raggiungo il molo. La barchetta a motore è lì ad attendermi.
“Sei pronto per partire, gamberetto?” mi chiede il vecchio al timone.
“Ti ho detto di smetterla di chiamarmi così” gli ripeto per l'ennesima volta, saltando a bordo.
Il viaggio non è lungo, ma la compagnia lo rende una autentica tortura.
“AMAAAR VUOL DIIIIIR, NON DIRLE MAI CHE HAAAA, TRA I SUOI DENTIIII, SPI-NA-CI A VOLONTÀÀÀÀÀÀÀÀÀ!”
Questo vecchio non fa altro che berciare frasi senza senso, credendo di cantare. Ma è pur sempre meglio quando dà aria alla bocca, piuttosto di quando lo fa da altri orifizi.
“Eccoci arrivati” esulta sorridendo.
Scendo dalla barca ancora prima che si fermi. Non ho tempo da perdere.
Supero di corsa il centro accoglienza ed esco dall'altro lato.
L'isola è deserta, solo il rumore delle onde e qualche debole ronzio. Perfetto.
Mi procuro un retino a noleggio dal piccolo venditore epilettico all'angolo del locale. È troppo impegnato ad agitarsi per far caso a me.
Potrò lavorare indisturbato per tutta la notte.

Il ritorno a casa è più tranquillo. Il vecchio marinaio pazzo continua a cantare e non guarda il carico contenuto nella cesta.
Arriviamo al molo in piena notte.
Sono talmente nervoso che il mio stomaco minaccia di aprirsi da un momento all'altro. Eppure, riesco a provare anche brividi di eccitazione.
Recupero il carico e mi avvio correndo verso il negozietto dall'altra parte della città. Le tinte rosa confetto delle pareti nascondono perfettamente la vera natura dei quell'edificio.
Sbircio dalla finestrella a forma di cuore al centro della porta: nessuno in vista. Apro, entro in fretta e chiudo la porta prima che il campanello automatico attiri attenzioni indesiderate.
L'ambiente all'interno è una perfetta commistione di ordine e caos: dentro a larghi soppalchi quadrati di legno blu che dividono il negozio in corridoi dritti e precisi. Si trovano ammucchiati malamente i più svariati oggetti di ogni forma e dimensione. Indumenti, ossa fossili, strumenti musicali, carta da parati, mobili, minerali preziosi...montagne su montagne di roba ammassata senza soluzione di continuità.
Pochi istanti dopo il mio ingresso, qualcuno appare da dietro uno di questi mucchi di ciarpame. Mi guarda e mi sorride maliziosamente.
"Molto bene... un cliente. Benvenuto."
"Non prendermi in giro Alpaca. Non sono qui per comprare."
Lei sghignazza. Qualcuno impazzirebbe per il suo morbido pelo rosa e la sua aria innocente all'inverosimile. Io no.
Lei non si scompone davanti alla mia espressione granitica. Anzi, sembra divertirsi.
"Ehi" sussurra, avvicinandosi "mio marito si è addormentato di nuovo sul lavoro. Puoi sentirlo russare da qui." Mi fissa negli occhi e mi accarezza i capelli aggiungendo "Mi sento tanto sola..."
La spingo via.
"Stammi alla larga. Non voglio niente che non siano stelline sonanti."
Lei continua a fissarmi, stavolta con occhi amareggiati per aver fallito il suo giochetto. "Cos'hai?" mi chiede, sbrigativa, risistemandosi il grembiule.
Io svuoto le tasche, senza aggiungere parola.
Alpaca appare inizialmente stupita. Poi, il suo malizioso sorrisetto si apre nuovamente.
"Allora non sei il santerellino che vuoi tanto sembrare, eh?"

L'alba arriva presto.
Attendo l'apertura dell'ufficio postale, e sgattaiolo dentro in tutta fretta. Prima che l'impiegata possa fare domande, verso tutta la mostruosa cifra di stelline sul conto di Nook.
Esco ancora più velocemente di quanto sia entrato. La brezza mattutina mi rinfresca e mi invita a prendere un profondo respiro.
Ancora stento a crederci. Il mio debito è sanato.
Ho dovuto cedere di nuovo al contrabbando illegale di insetti rari.
Ma è fatta. Sono libero.

Resto in giro ad osservare la mia città prendere vita. Saluto cordialmente chiunque mi capiti davanti, finalmente col cuore leggero.
Faccio il giro di ogni angolo della mia amata città. Il molo, la spiaggia, il parco, la caffetteria, il viale dei negozi, il museo, il municipio, la piazza...
La piazza è occupata. Sta succedendo qualcosa.
Mi avvicino per vedere meglio.
Non credo ai miei occhi.
"Salve cugino! Sto allestendo la mostra, ti aspetto appena avrò aperto!"
È tornato.
È qui.
Volpolo. Il falsario più sfuggente mai visto prima, è di nuovo qui, nella mia città. Ha il coraggio di farsi rivedere, dopo avermi scucito diverse migliaia di stelline con le sue patacche.
Sento il sangue che ribolle in tutto il mio corpo. Quel truffatore è stato una delle cause che mi ha quasi spedito sul lastrico.
Tento in tutti i modi di trattenere il tremolio della mia voce carica di collera mentre gli rispondo "Sicuro. Ripasso più tardi."
Corro a casa.
Entro di corsa e apro il mio armadio.
Prendo l'ascia.
Non ha senso infrangere certe regole e rispettarne altre.
Ho sacrificato molto per benessere mio e della mia città. Tanto vale sacrificare tutto.
Appena fuori dalla porta incontro la mia segretaria.
"Buongiorno sindaco! Come va oggi?"
Non la guardo nemmeno in volto. Sorrido senza volere.
"Benissimo. Tra poco sarà tutto perfetto."

Fine