lunedì 30 giugno 2014

8. Alchimia

"Cosa abbiamo qui?" chiese Lio.
"Nelle celle là in fondo avviene l'essiccazione, poi ci sono i mortai per pestare la muffa, i solventi, le centrifughe..."
"Centrifughe?"
"Sì, centrifugando la soluzione e utilizzando solo la fase superiore il prodotto finale migliora." rispose Derek, orgoglioso delle sue conoscenze.
"Davvero? Forte! Noi abbiamo sempre usato tutta la soluzione..."
"Fidati di me, so quello che faccio" rispose l'Alchimista, sorridendo. Quel sorriso gli dava un'aria da pazzo molto poco rassicurante. "Dicevamo, centrifughe, poi tutto il necessario per il filtraggio a silice..."
"E questa cos'è?" chiese Lio, prendendo da un sottobanco una busta piena di cristalli blu.
"Ehi, giù le mani!" esclamò Derek, strappandogliela di mano "questo è un mio progetto secondario, che non ti riguarda" aggiunse, rimettendo il sacchetto al suo posto e chiudendo a chiave l'anta del sottobanco.
Lio era irrequieto. Avere la possibilità di lavorare accanto all'Alchimista era un vanto che mai si sarebbe sognato di meritarsi. Apprendere tutti i segreti del laboratorio gestito dal padre dell'Hub era solo una delle tante cose che desiderava imparare, e non solo riguardo la produzione di droga: Derek era un libro di storia ambulante, e parlare con lui era come rivivere un'epoca di Nidhogg di cui nessun altro sapeva nulla.
“Ora mettiti questa” disse Derek, porgendogli una tuta protettiva.
“Dobbiamo fare qualcosa di pericoloso?” domandò Lio, dubbioso.
“Eheheh, no no, queste non servono a proteggere noi” lo rassicurò l'Alchimista.
Lio si vestì velocemente ma con estrema cura, stando molto attento a non rovinare la tuta. Durante l'operazione non riuscì a trattenere però qualche sbadiglio; gli incubi di Nidhogg in procinto di essere distrutta non lo avevano ancora abbandonato, e non lo lasciavano dormire serenamente.
“Seguimi” lo invitò Derek, una volta vestiti.
Raggiunsero una porta in fondo al laboratorio. Premendo un pulsante, la porta si aprì, rivelando il suo contenuto: una stanza illuminata da tenui luci blu, estremamente umida, contenente una serie di pannelli metallici impilati parallelamente, a pochi centimetri uno dall'altro. Ognuno di essi era ricoperto da una spessa patina di muffa marrone.
“Hubcum!” esclamo Lio, sbalordito.
“Questa è la mia piccola serra, l'ho costruita io” spiegò Derek “e non devo nemmeno ricordarmi di innaffiare le piante! Eheheh!”
“Ma come hai...” continuò Lio, ancora disorientato,
“L'Hubcum cresce solo su Nidhogg, ma quando mi hanno rapito hanno pensato bene di prenderne un pezzetto. È stato sufficiente lasciarlo in un ambiente ospitale ed è cresciuto. Habitat poco illuminato, tanta umidità e superfici metalliche; Nidhogg ne ha in abbondanza di tutte e tre, ma è una condizione abbastanza semplice da ricreare. Ora prendi uno di quei contenitori lì appesi e facciamo scorta”
Lio si affrettò a prendere uno dei secchi di plastica agganciati alla parete, poi si posizionò accanto a Derek mentre lui spostava una lastra per raschiarne via la muffa.
“Eheheh, sai, mi mancava un sacco lavorare in coppia. Quando ero su Nidhogg io e Frank lavoravamo sempre così, io che raccoglievo e lui che faceva la guardia.”
“Anche le squadre del clan erano così” disse Lio “Un raccoglitore e un Ricognitore, sempre in coppia. Forse è una tradizione nata proprio da voi due.”
Derek fece un'altra delle sue risatine da vecchio pazzo “Eheheh! Accidenti ragazzo, sei proprio cresciuto all'ombra di tutto ciò che facevo!”
Il sorriso dell'Alchimista tuttavia si spense in pochi attimi, e con tono sommesso aggiunse “Sarò anche una leggenda vivente, ma non sarei mai stato nulla senza Frank. Mi ha salvato la pelle in mille occasioni, e senza di lui non sarei stato nient'altro che un carcerato qualsiasi. E ora io sono l'Alchimista della leggenda, mentre di lui nessuno sa nulla.”
“Frank è vivo, Derek” lo interruppe Lio.
Derek si paralizzò, lasciando cadere a terra il lembo di muffa che aveva in mano. “Cosa?”
“È vivo. O almeno, era vivo prima che venissero a prendermi. Aveva aperto un pub e conduceva scambi con tutti i clan. Il grosso del nostro Hub lo davamo a lui, che poi lo utilizzava per mercanteggiare coi pesci piccoli.”
Derek rimase in silenzio, attonito per qualche secondo. Poi, sul suo volto si formò un'espressione da completo psicopatico.
“AHAHAHAH!” si mise a ridere, urlando “Dovevo immaginarlo! Dovevo immaginarlo, dannazione! Quel grosso figlio di puttana è indistruttibile! Ah!”
Lio non se la sentì di ricordare a Derek che, per quanto ne sapeva, tutti gli abitanti di Nidhogg erano stati uccisi dalle forze armate. Comunque, l'Alchimista aveva ragione: Frank aveva vissuto tutti i momenti storici di Nidhogg rivestendo un ruolo centrale, ed era riuscito a diventare temuto e rispettato da tutti i clan nonostante fosse un uomo solo.
“Mi hai migliorato la giornata ragazzo” si compiacque Derek, raccogliendo il lembo di muffa cadutogli poco prima e mettendolo nel secchio “Ora usciamo e mettiamoci al lavoro.”
“Ma che fai?” si stupì Lio “Ci mettiamo delle tute per non contaminare l'Hubcum e poi tu lo raccatti da terra? Così sporchi anche tutto il resto...”
“Shhh!” lo zittì subito Derek “non farti sentire! Esci, ora ti spiego.”
Una volta fuori, Lio si svestì, mentre Derek piazzava le macchie di Hubcum appena colte nell'essiccatoio e raccoglieva un po' di muffa pronta per la lavorazione.
“Vieni ragazzo, aiutami a polverizzare.” lo invitò l'Alchimista, una volta finito.
I due si misero all'opera; ben coperto dai rumori della pestatura, Derek sussurrò all'orecchio di Lio
“Come credi che sia riuscito a rimanere vivo per anni e anni, giovanotto? Preparando sempre il migliore Hub che possa fare?”
Solo in quel momento Lio si rese conto che tutte le dosi che aveva ricevuto durante la prigionia erano state prodotte da nientemeno che Derek l'Alchimista, non certo dal primo sprovveduto di passaggio. E allora perché sembravano tutte realizzate da un principiante?
“Sai come sono sopravvissuto?” prosegui Derek, sempre sottovoce “Facendo un lavoro di merda. Se davvero sfruttassi tutte le apparecchiature che mi affidano, ogni dose che esce da questo laboratorio sarebbe perfetta. Invece i tre quarti delle dosi che consegno sono fatte col culo. Ho dovuto inventare una marea di balle, che l'Hubcum cresciuto in serra non è buono come quello naturale, che quella che coltiviamo è una sottospecie impura, che l'aria di Nidhogg è fondamentale per realizzare l'Hub, e tutta una valanga di stronzate simili. Potrei realizzare ciò che vogliono anche adesso, ma non lo farò di certo: una volta ottenuta la ricetta, quelli mi ammazzeranno senza nemmeno dire grazie, e tanti saluti. No, non mi fregano: io ho tenuto sempre la qualità al minimo, facendo dei piccoli passi avanti di tanto in tanto per non insospettirli. Ci hanno provato in tutti i modi a costringermi ad accelerare il ritmo. Mi hanno pure appioppato qualche assistente, dei brillanti laureati col massimo dei voti. Quando li hanno trovati sistematicamente morti nel letto con una siringa piantata nel braccio hanno smesso di rompermi i coglioni.”
Lio continuava a pestare, ma ascoltava ad orecchie tese, rapito e esterrefatto allo stesso tempo. Mai farsi nemico l'Alchimista.
“Devo mantenere la messinscena, fingendo di fare le cose il più pulite possibile nel caso venisse qualcuno a controllare. In realtà rovino le dosi in ogni modo. Qualche volta ci sputo pure dentro, eheheh.”
Un brivido percorse il corpo di Lio dalla punta dei piedi fino all'apice della testa. “MA CHE SCHIFO!” sbottò “Io me la sono fatta quella roba!”
Derek si lasciò andare in una delle sue risatine; quando rideva sembrava ancora più vecchio, oltre che completamente fuori di testa “Eheheh! Scusami tanto ragazzo, non volevo! Eheheh!
“Comunque sia, da quando è sparito Bellinger ed ha preso il comando il nuovo damerino, prestano molta meno attenzione a ciò che faccio. Continuano a chiedermi Hub perché a quanto pare gli serve, ma non mi fanno più pressioni. Il che mi ha dato un po' di tempo libero per occuparmi dei miei progetti.”
“Cioè? Cosa?” incalzò Lio, sulle spine.
Derek tirò fuori una fialetta dalla tasca del camice. Conteneva un liquido dorato.
“Qualcosa di superiore.”

lunedì 23 giugno 2014

7. Leggenda



Lio era talmente sbalordito da rischiare di cadere.
"L'ALCHIMISTA? QUELL'ALCHIMISTA?" urlò.
Derek, semplicemente conosciuto come l'Alchimista, era una leggenda tale su Nidhogg da essere quasi venerato.
L'uomo che aveva garantito a molti una via di salvezza.
L'uomo che aveva condannato a morte moltissimi altri.
L'uomo che aveva plasmato Nidhogg per quella che era.
L'uomo che aveva ideato l'Hub.
Eppure, a guardarlo tutto sarebbe sembrato tranne che una leggenda vivente: era basso, la dentatura sgangherata, un camice tutto unto e stropicciato e il pizzetto più ridicolo che Lio avesse mai visto. Tuttavia non c'era modo di smentire quanto quel vecchietto stava affermando.
“Non può essere” negò comunque Lio “Non può essere, l'Alchimista è morto decenni fa, ancora prima che Parcox arrivasse su Nidhogg!”
“Nidhogg?” chiese Derek, colto di sorpresa “tu sai di Nidhogg?”
“Certo che so di Nidhogg, è da lì che vengo! Questi stronzi sono piombati giù dal cielo, hanno distrutto tutto ciò che amavo e mi hanno portato via...”
“...proprio come me.” lo interruppe Derek, in un soffio.
I due si guardarono, attoniti e in silenzio.
“Siediti, giovanotto” lo invitò l'Alchimista “Abbiamo molto di cui parlare.”

Passarono ore a raccontarsi tutto, l'uno dell'altro.
Lio raccontò i suoi pochi ricordi prima di Nidhogg, di come fosse un semplice delinquente di strada, finché non lo arrestarono e non lo portarono sul pianeta. Raccontò di Parcox, dell'ascesa di West Braxis, della guerra con Hiver Hit, di come lui stesso divenne King, fino a che tutto quanto non venne cancellato in una sola notte.
Dopodiché venne il turno di Derek.
“Posso solo immaginare quale dolore possa significare per te tutto questo, ragazzo. Magari ti stupirà, ma per me non è andata tanto diversamente.
“Fui portato su Nidhogg quando avevo poco più di vent'anni. Producevo droga nella mia cantina, e campavo vendendola ai disagiati come me. Facevo la fame, e per tirarmi su di morale iniziai a farmi anche io. Mi presero mentre avevo una siringa piantata nel braccio, ci crederesti? Che coglione. Comunque mi spedirono senza troppe cerimonie in questa città immersa nel fumo verde, che ti rendeva calvo e con gente pronta ad accoltellarti dietro ogni angolo. Non ho mai saputo la storia di quella città, so solo che si chiamava New Braxis e che per qualche ragione era stata abbandonata dannatamente in fretta. Le case che non erano crollate erano ancora arredate e quasi ospitali, ma molto spesso erano già occupate da qualche altro carcerato pronto a difendere la sua proprietà col sangue.
“Ero solo e disperato; trovai rifugio in una cantina e rimasi lì per qualche giorno, ma presto iniziai ad avere fame. Appresi così dell'esistenza di un rifornimento quotidiano di viveri: perché ci nutrissero anche se eravamo costretti a marcire lì, non l'ho mai capito. Forse non volevano chiamarla condanna a morte, chi lo sa.
“Il rifornimento avveniva così: un soldato arrivava con una nave piena zeppa di scorte, apriva lo sportello posteriore e consegnava una scatola di vivande a chiunque ne facesse richiesta. Una sola a testa, nient'altro; se qualcuno faceva storie, provava a fare il furbo o piantava grane, la guardia apriva il fuoco.
“Il problema era che la guardia non portava mai abbastanza cibo per tutti. Semplicemente, quando le porzioni erano finite se ne andava e tanti saluti; e allora accadeva il finimondo, pugni, calci, morsi, lame e chi più ne ha più ne metta. I più grossi non si accontentavano di una sola porzione, e quindi prendevano ciò che volevano picchiando e uccidendo, se necessario.
“Capii ben presto che se volevo mangiare dovevo essere tra i primi della fila e sparire immediatamente dopo aver ricevuto la mia porzione, e infatti così riuscii a sopravvivere per un po' di tempo. Era dura, ma non avevo idea di cosa mi attendesse.
“Entrai in crisi d'astinenza molto presto. Avevo bisogno di trovare della roba da farmi il più presto possibile: rastrellai le case, rischiai la vita trovandomi faccia a faccia con dei pazzi invasati, ma non trovai niente che potessi usare per sentirmi meglio. Finché, dopo giorni, giunsi alla zona industriale della città. La situazione lì era molto diversa: nessuno ci metteva piede, e la maggior parte delle porte erano sigillate; impiegai un sacco di tempo e di energie tentando di entrare in uno degli edifici abbandonati, saltai addirittura dei pasti da quanto ero desideroso di trovare qualcosa. E indovina un po'? Trovai della muffa. Stanze su stanze tappezzate di muffa spessa due dita. Speravo di trovare degli agenti chimici dentro a quelle industrie, qualcosa che potesse regalarmi un po' di sballo, ma non trovai nient'altro che muffa, muffa e ancora muffa.
“Ormai avevo perso ogni speranza. Ero affamato e sfinito, e a quel punto mi chiedevo perché mi ostinassi tanto a cercare di sopravvivere. Fu in quel momento che feci la cosa più stupida, insensata e incosciente che avrei mai potuto fare: strappai un brandello di muffa dalla parete e me lo ficcai in bocca. Magari è avvelenata e mi ucciderà, tanto meglio pensai. Non mi sarei mai aspettato che mi avrebbe fatto l'effetto opposto.
"Il sapore era proprio osceno, era come masticare una spugna imbevuta di piscio. Sputai subito quello schifo, ma la spremuta che mi rimase in bocca mi donò nuova energia. Fu una sensazione incredibile, ma brevissima. Da quel momento non pensai più ad altro se non a rivivere quella sensazione.
"Mi stabilii lì tra le fabbriche; raggiungere la distribuzione del cibo richiedeva ora più tempo, ma non mi importava. perché finalmente avevo qualcosa che mi aspettasse una volta tornato a casa. Capii subito che dovevo raffinare la muffa per ottenerne un siero, quindi mi impegnai per trovare degli strumenti adatti allo scopo. Fu una faticaccia, e dovetti arrangiarmi parecchio con mezzi di fortuna, ma alla fine raggiunsi il mio scopo: distillai un bicchiere di droga liquida, sporca e rozza, ma dannatamente buona.
"All'inizio la assumevo bevendola, ma non era esattamente una buona idea”
“In che senso? Non funzionava?” domandò Lio
“No, no, funziona bene quasi quanto in vena. Però fa scoppiare una diarrea istantanea inarrestabile.”
“Fortuna che non ci ho mai provato.”
“Eheheh! Bè, trovai alcune confezioni di vecchie siringhe in una stanza in città, così iniziai a iniettarmela. Era perfetta. Una volta raggiunta la formula ideale avevo materia prima in abbondanza, quindi iniziai a produrre droga in quantità. Per me era più che sufficiente, quindi feci l'unica cosa che sapevo fare bene oltre a produrre droga: venderla.
“Prima la offrii a caso tra alcuni carcerati, poi furono loro a venire a chiedermela. In questo modo ero sempre il primo della fila a prendere le razioni, avevo tre pasti al giorno e nessuno minacciava di farmi del male; se fossi morto io la droga sarebbe morta con me.
“Fu allora che conobbi il più grosso, indistruttibile e inarrestabile figlio di puttana che si sia mai visto su Nidhogg. Lo chiamavano il Boia, perché mettersi contro di lui era una sentenza di morte. Inizialmente non gradiva il mio strapotere tra i carcerati, ma pian piano capì che alleandosi con me avrebbe avuto molti più vantaggi.”
“Aspetta, mi stai dicendo che tu avevi un socio?” lo interruppe Lio.
“Sì, certo!”
“È molto strano...ho sentito moltissime leggende sull'Alchimista, ma non ho mai sentito nominare questo Boia."
“Non mi sorprende: era un tipo che odiava le dicerie, e quando veniva a sapere che si parlava di lui reagiva sempre male; questo ha scoraggiato il diffondesi della sua fama. Anche quel nomignolo non gli è mai piaciuto, ed esigeva di essere chiamato semplicemente col suo nome di battesimo: Frank.”
Lio non rispose. Si limitò a rimanere a bocca aperta.
“Comunque sia, grazie all'aiuto di Frank presto tutta la popolazione di Nidhogg cadde sotto la dipendenza della mia droga. Ovunque andassimo i carcerati ci facevano largo e ci offrivano tutto quello che avevano in cambio di qualche dose: alcuni morirono pure di fame offrendoci tutto il cibo che riuscivano a raccogliere in cambio di droga, altri non avevano modo di iniettarsela, quindi la bevevano per poi morire di dissenteria, altri tentarono di rubarcela finendo inesorabilmente tra le grinfie di Frank. Non ci interessava nulla, non guardavamo in faccia nessuno. Eravamo i re di quella palla nebbiosa, ma non ci bastava. Volevamo di più. E quello fu il nostro errore.”
“Riuscimmo a far provare una dose alla guardia addetta ai viveri. I marine sono abituati ad usare doping per combattere meglio, perciò convincerlo non fu difficile. Il giorno dopo tornò volendone ancora, e poi ancora e poi ancora. Noi lo ricattammo, ottenendo così della merce irreperibile altrimenti su Nidhogg: dapprima strumenti per la sintetizzazione della droga, poi più cibo, ed infine una sconfinata serie di comodità, talvolta pure assurde, solo per far impazzire quello sfigato. Vivemmo così per un sacco di tempo. Non ricordo di essere mai stato meglio in vita mia.
“I carcerati ci adoravano e la guardia ci riforniva. La droga era il fulcro di tutto il nostro mondo, per questo la chiamai Hub. Dal suo nome trovai anche quello per la muffa, cioè Hubcum. È latino.”
“Ah sì? E che vuol dire?”
“E io che cazzo ne so? Se finisce in -um però è latino!
“Comunque, continuammo la nostra egemonia per mesi, continuando ad estorcere merci alla guardia. Talvolta ci portava più doni, e quindi lo ripagavamo con più dosi. Noi ci divertivamo, era come avere un cagnolino ammaestrato, tuttavia eravamo all'oscuro di quanto quella droga ci sarebbe costata cara: quell'idiota fu beccato, e le dosi extra furono sequestrate dal suo superiore, che le provò. Allora la richiesta raddoppiò. Poi un ufficiale fece lo stesso col superiore, e la richiesta triplicò. In breve tempo quasi tutto un ramo dell'esercito del Dominio era strafatto di Hub.
“Finimmo presto alle strette: non potevo preparare Hub a sufficienza per tenere a bada tutti i carcerati e per soddisfare le richieste di mezzo esercito. Dovevo lavorare anche di notte, mentre Frank dormiva e non poteva fare la guardia. Non mi accorsi mai di chi mi stesse spiando, ma qualcuno lo fece. E diffuse i segreti dell'Hub a tutti i carcerati.
“In un periodo incredibilmente breve, i carcerati smisero di ammazzarsi l'un l'altro alla rinfusa, e si organizzarono in piccole gang. Da un giorno all'altro passammo da sovrani indiscussi di Nidhogg a una coppia di sbandati, soli, in competizione con tutti per il possesso della muffa. Riuscimmo a cavarcela per un po', ma era diventata molto più dura. Come se non bastasse, oltre alla guardia iniziarono ad arrivare anche altri acquirenti, che portarono armi da fuoco per acquistare nuove dosi. Nidhogg divenne il teatro di una vera e propria guerra.
“Ed infine, una notte, arrivarono. Due Fantasmi comparvero dal nulla, mi tramortirono e mi portarono via, strappandomi a tutto ciò che avevo costruito.”
Derek si interruppe, con un'espressione delusa in volto. Ricordare quegli eventi gli causava una grande amarezza.
“C'era un tipo quando sono arrivato io su Nidhogg” riprese Lio “Si chiamava Joe, lo chiamavamo Nocche Dure perché era un picchiatore nato. Era grande e grosso, ma molto intelligente, ed era un appassionato di storia. Gli piaceva ascoltare e raccogliere tutte le testimonianze che riusciva a trovare, anche se molto spesso erano balle inventate di sana pianta. Lui raccontava sempre che l'Alchimista era morto dopo aver mescolato le droghe sbagliate. Era una specie di favola per insegnare ai novellini che devono stare attenti a quello che si ficcano in vena.”
“Eheheh! Come vedi non è andata così!” riprese Derek “mi hanno portato via, e non ho mai smesso di lavorare. Per anni sono rimasto segregato in questo laboratorio. Ma è questo il bello, ora l'Hub non ha più segreti per me. Sono andato oltre.”
Lio lo guardò stupito, mentre Derek si esibiva in un altro sorriso maligno.
“Che vuoi dire?” sussurrò Lio.
Prima di poter ricevere una risposta, le porte del laboratorio di aprirono e il marine entrò a prendere Lio per riportarlo nella sua cella; lui non staccò gli occhi di dosso al leggendario produttore di Hub.
“Torna da me domani, ragazzo” lo salutò Derek, mentre le porte si chiudevano “e ti farò vedere perché mi chiamano l'Alchimista.”

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lunedì 16 giugno 2014

6. Amici



Lio stava riguadagnando forze ogni momento.
Da quando gli aveva portato il primo pasto e la prima dose, il marine che fino a poco tempo prima veniva a prenderlo per pestarlo quotidianamente, ora portava una porzione di zuppa tre volte al giorno. Erano stati portati pure un letto e un wc chimico; per quanto la cella fosse sempre la stessa piccola stanza di freddo metallo, senza finestre oltre agli spiragli di vetro sulle porte scorrevoli, la permanenza era divenuta più confortevole, seppure di poco.
Le visite periodiche del marine avevano permesso a Lio di riacquistare la cognizione del tempo: colazione, pranzo, cena, seguiti da una lunga pausa, poi di nuovo colazione, pranzo e cena. Era ipotizzabile che prima i pestaggi avvenissero una volta al giorno, ma Lio non avrebbe saputo dirlo con certezza. Oltre alla confusione portata dall'astinenza, la sua percezione di giorno era molto cambiata durante i suoi anni permanenza su Nidhogg; infatti sul nebbioso pianeta la notte e il dì erano molto lunghi, il che comportava un'attività sfasata, con pasti notturni o riposi mattutini alternati in modo completamente casuale.
Il primo giorno di detenzione Lio lo passò leccandosi le ferite: non appena gli fu portato il letto, si abbandonò su di esso e lì rimase per molte ore, attendendo che i dolori dei pestaggi precedenti se ne andassero gradualmente. Ogni volta che riceveva la visita del marine, i due si guardavano severamente per qualche istante, poi il soldato posava il solito vassoio a terra e portava via quello utilizzato durante il pasto precedente, per poi andarsene. Solo allora Lio si alzava zoppicando e consumava il suo pasto.
La zuppa era ogni volta più disgustosa: una sorta di sbobba con retrogusto di carne e verdure miste, dalla consistenza granulosa. Sembrava che prendessero tutti gli avanzi dei pasti, li frullassero insieme e li servissero così come venivano.
Lio non gradiva, ma mandava giù tutto senza fare troppe storie. Era stanco di essere debole e malandato, per cui doveva fare affidamento su tutto il nutrimento su cui poteva mettere le mani.
Il secondo giorno, a cena, gli portarono una seconda dose di Hub.
Lio valutò con attenzione sia quella che tutte le altre che aveva a disposizione, che teneva legate addosso con una striscia ricavata dal lenzuolo. Erano tra le peggiori dosi che avesse mai visto: non filtrate, piene di corpuscoli e addirittura con palesi tracce di acqua. Erano a malapena in grado di placare l'astinenza da Hub ben fatto.
Quelle dosi aprivano a tutta una serie di quesiti: come riuscivano a produrre Hub? Da dove prendevano la materia prima? E a cosa diavolo poteva servirgli?
Ciò che tuttavia era palese, era il motivo per cui Lio era stato risparmiato e rapito durante l'attacco a Nidhogg: quelle dosi erano decisamente scadenti, perciò avevano bisogno di qualcuno esperto nella sintetizzazione dell'Hub, qualcuno che lo produceva da tempo e che riusciva a farlo al meglio. Con grande rammarico, Lio dovette ammettere che avevano trovato l'uomo giusto.
Ad avvalorare ancora di più questa ipotesi c'erano anche le domande protratte dagli aguzzini a Lio durante i pestaggi.
“Da quanto tempo eri su Nidhogg? Cosa sai sull'Hub? Sei in grado di produrlo?”
Lio aveva passato più di quindici anni su Nidhogg. Aveva trascorso metà della sua vita lì, e aveva imparato praticamente tutto quello che sapeva da Parcox e dai sui compagni. Aveva passato tutta la sua permanenza in quella landa nebbiosa a raccogliere muffa e trasformarla in Hub, prima di diventare King e gestire gli affari che ruotavano intorno alla medesima droga: probabilmente era il più esperto preparatore di Hub dai tempi del suo creatore. Per questo era ancora vivo.

Il terzo giorno Lio era sufficientemente in forze da alzarsi e camminare, anche se una corsa lo avrebbe messo probabilmente k.o.
Il marine passò come al solito, portò la colazione e si prese ciò che restava della cena. Non appena le porte si chiusero, Lio si avvicinò al vetro sulla porta e sbirciò di fuori: il marine andò verso destra poi entrò nel primo corridoio alla sua sinistra. Lio ingurgitò velocemente il pasto, poi si ripiazzò alla finestrella per osservare ogni minimo spostamento.
Per ore, non passò anima viva.
Solo quando arrivò l'ora di pranzo Lio riuscì a scorgere dei movimenti: il marine comparve dal corridoio, portando un vassoio munito di ciotola e bicchiere. Lio fece per indietreggiare, aspettandosi che il marine venisse a portargli la nuova porzione.
Così non fu.
Il soldato girò poco prima di raggiungere la sua stanza, e aprì una porta al di fuori del raggio visivo di Lio, ma che doveva trovarsi immediatamente accanto alla sua.
Lio rifletté: doveva esserci un'altra cella...e in essa un altro prigioniero. Forse la misteriosa benefattrice che gli aveva donato delle dosi extra era proprio a due passi da lui.
Mentre Lio faceva la sue considerazioni, il soldato era uscito ed aveva portato il vassoio vuoto nel corridoio, risbucando un istante dopo con un vassoio pieno. Raggiunse la porta della cella di Lio e l'aprì.
Il marine parve quasi sorpreso nel vedere l'occupante della cella in piedi dietro la porta, ad attenderlo. Lio lo scrutò dalla testa ai pedi, senza arretrare: quell'uomo era enorme, più alto di lui e largo almeno il doppio. Il soldato non perse tempo: spintonò indietro Lio, posò il vassoio nuovo e raccolse il vecchio, per poi chiudere nuovamente le porte ed andarsene.
“Gentilissimo” pensò Lio tra sé. Mangiò, poi riprese a spiare oltre la porta: se voleva fare qualcosa, qualunque cosa, aveva bisogno di ogni informazione possibile di ciò che lo attendeva fuori dalla cella.
Non accadde nulla fino all'ora di cena. Di nuovo, il marine servì il pasto nella cella vicina, poi in quella di Lio. Quella sera, niente dessert di Hub.

Lio attese ancora molto tempo, ma tutto ciò che avvenne nel dopocena fu un abbassamento delle luci, che andavano ad indicare il periodo di riposo. Sentendo il sonno progressivamente avanzare, si diresse verso il letto.
Si sedette, e per qualche attimo rimase con le mani davanti agli occhi. Avrebbe voluto pensare a qualcosa, ma cosa poteva fare? Fino a quel momento, tutto ciò che aveva appreso era che, se mai fosse uscito da quella cella, girando a destra e poi a sinistra sarebbe andato verso le cucine. E non ne era neppure del tutto sicuro.
Il primo scoglio da superare era la porta: come fare per aprirla? Avrebbe potuto provare a stendere il marine alla sua prossima visita, ma sarebbe stata un'impresa impossibile date le dimensioni di quel bestione.
Mentre rimuginava, sentì un ticchettio al di fuori della sua cella.
Immediatamente balzò in piedi e si precipitò a guardare cosa stesse succedendo.
Era lei.
La ragazza che gli aveva portato l'Hub ora stava armeggiando con la serratura della cella di Lio, nel tentativo di aprirla.
“Ehi! EHI!” richiamò la sua attenzione Lio, battendo i pugni sul vetro.
La donna fece un balzo all'indietro, colta di sorpresa. Era una ragazza abbastanza giovane, estremamente magra e dai lineamenti appuntiti. I capelli erano rasati estremamente corti.
“Sei pazzo? Non fare rumore o ci scopriranno!” lo rimproverò lei. Il suono della sua voce giungeva ovattato attraverso il vetro.
Lio era troppo agitato per starla a sentire “Liberami! Presto! Se sai come fare, tirami fuori di qui!”
“Non posso ora!” rispose lei, guardandosi le spalle “ogni tanto passano facendo turni di guardia, se perdo altro tempo qui finiremo entrambi nei guai.”
Si rivolse nuovamente a lui “Come stai? Ti sei ripreso? Ti servono altre dosi?”
“No...no, loro continuano a darmi quelle di cui ho bisogno. Ma come hai fatto a prenderle?”
“Posso entrare e uscire dove e come voglio” rispose lei, senza smettere di guardarsi prudentemente attorno “Sai cosa vogliono da te?”
“No” rispose Lio.
“Allora, finché non lo hai scoperto, tu non mi hai visto” riprese lei “ora è meglio che me ne torni in cella. Tu non mi hai mai visto, intesi?”
Lio esitò prima di annuire, confuso. Prima che lei sparisse nella sua cella chiese “Ma chi sei tu?”
“Non te lo dirò, e nemmeno voglio sapere chi sei tu. Tutto ciò che conta è che se mi aiuterai, potremo entrambi fuggire da qui.”

Gli eventi della sera prima avevano agitato Lio, che dormì appena durante la notte successiva. Quando arrivò il marine con la colazione, era ben sveglio.
“Quanto ti pagano per farmi da cameriera?” gli chiese mentre usciva. Il soldato si immobilizzò per un paio di secondi, poi chiuse la porta stizzito. Lio sorrise al pensiero di averlo irritato.
Approfittò di quella giornata per rimettersi in forma: occupò le ore tra un pasto e l'altro facendo addominali, piegamenti e tirando pugni all'aria. Il corpo rispose bene agli sforzi, segno che ormai era completamente rimesso dall'astinenza.
Seguì l'ora di pranzo, e poi quella della cena, stavolta accompagnata da una dose.
“Non sono stupidi” pensò Lio “Sanno che una dose un giorno sì e uno no è più che sufficiente.”
Si sdraiò sul letto e si iniettò l'Hub in vena. La dose di seconda scelta lo lasciò perfettamente indifferente, nemmeno paragonabile ad una dose di vero Hub.
Lio gettò via la siringa e si girò su un fianco, rivolgendosi alla parete metallica. Pensò che la ragazza che lo aveva aiutato si trovava proprio dall'altra parte.
Provò a bussare.
TOC TOC.
Il rumore risuonò per tutta la cella, trasportato dal metallo.
Poco dopo, giunse una risposta.
TOC TOC.
Non aveva alcun significato, ma era già qualcosa.
“Il nemico del mio nemico è mio alleato” mormorò Lio “e per uscire di qui mi servirà tutto l'aiuto possibile. Vedi di essermi utile.”
Stanco per gli esercizi svolti durante il giorno, Lio si assopì.

Fu un sonno agitato.
Di nuovo gli incubi di Nidhogg tornarono a tormentarlo.
La nebbia.
Zero entrava senza bussare.
La radio squittiva.
Lio rispondeva.
“Sono tanti...”

Fu svegliato di soprassalto dalle porte della cella che si aprivano.
Il marine si trovava lì fuori, ma stavolta non aveva alcun vassoio con sé. Nelle mani stringeva una maglietta grigia e un paio di manette.
“Alzati” intimò il soldato, lanciando la maglietta addosso a Lio “E vestiti. Veloce.”
Lio infilò la maglietta. Nonostante fosse di un paio di taglie più grande, era felice di avere finalmente addosso qualcosa oltre ai pantaloni.
Il soldato lo strattonò per un braccio poi gli ammanettò i polsi, con le mani avanti.
"Ti faccio paura eh?" lo canzonò Lio.
Il marine rispose con un pugno nell'addome.
Lio serrò gli occhi, dolente, stringendosi tra le braccia.
"Guardami in faccia, sacco di merda" intimò il marine, afferrandogli il mento "dammi un pretesto e ti rompo tutte le ossa. Tieni sigillata quella fogna in mia presenza, chiaro?"
Lio preferì non sfidare ancora la sorte, quindi non rispose.
Spintonato dal suo aguzzino, venne portato fuori dalla cella verso una destinazione a lui ignota: si impegnò per memorizzare quanto più possibile tutto ciò che vedeva e che potesse essergli utile per tentare di evadere, ma le porte intorno a lui sembravano tutte uguali.
Giunsero davanti ad una porta chiusa alla fine di un corridoio; il marine inserì la scheda che aveva al collo nel pannello a lato, poi premette il pulsante di apertura.
Non appena la porta si aprì, Lio fu spinto dentro con una tale violenza da cadere sbattendo la faccia a terra.
"Da oggi lui ti aiuterà" sbraitò il marine "mettetevi al lavoro!" Quindi richiuse le porte.
Lio scosse la testa e si rialzò: si trovava in un laboratorio, fornito di tutti gli strumenti possibili. Davanti ad un banco da lavoro, di spalle rispetto a Lio, si trovava un uomo in camice.
"Che bello! Finalmente un po' di compagnia!" esclamò l'uomo. Dalla voce sembrava essere un arzillo vecchietto.
Quando si voltò, mostrò a Lio il suo volto: era completamente pelato, indossava un paio di occhiali sgangherati, e la bocca era contornata da sparuti peli bianchi, in quello che sembrava essere un pessimo tentativo di pizzetto. Il sorriso ambiguo mostrava diversi denti mancanti.
"Piacere di conoscerti" disse il vecchio "io sono Derek l'Alchimista."

Grandi ritorni dal passato!
Come sempre, leggete, condividete e fatemi sapere!

#WelcomeToNidhogg

lunedì 9 giugno 2014

5. Fuoco



I marine buttarono il prigioniero sulla sedia nella sala dell'interrogatorio. Lio non ebbe la forza di reggersi, e caracollò a terra.
“Resta su, sacco di merda!” intimò uno dei due aguzzini, che lo prese e lo rimise seduto, sottolineando il concetto con un manrovescio.
Lio sentì il sapore di sangue riempirgli la bocca; al primo colpo si era già spaccato il labbro, e ciò era un pessimo inizio. Non avrebbe retto a lungo.
I due marine iniziarono le sevizie, incuranti dello stato precario in cui versava la loro vittima.
“Inizia a cantare, figlio di puttana. Quanto tempo hai passato su Nidhogg?”
Di norma, Lio avrebbe stretto i denti, teso i muscoli e trattenuto il fiato prima di ricevere ogni singolo colpo. Ma nello stato in cui si trovava, era un miracolo che riuscisse a rimanere cosciente.
“Cosa sai sull'Hub? Sei in grado di produrlo?”
Continuarono a picchiarlo e a urlargli domande. I pugni sembravano dieci volte più duri dall'ultima volta.
Lio perse nuovamente l'equilibrio e cadde dopo un forte colpo in faccia. Serrò gli occhi cercando di ricacciare il dolore, mentre dal suo naso cominciava a sgorgare un fiume di sangue.
“Ti ho detto che devi restare su!” sbraitò uno dei marine. Lo raccolse da terra e lo rimise sulla sedia, tenendolo in equilibro con una mano alla gola.
Lio ero completamente stordito. La sua testa ciondolava, presto avrebbe perso di nuovo i sensi.
“Ehi, puttanella! Apri quegli occhi!” lo scosse il marine.
Lio rinvenne brevemente, mettendo a fuoco ciò che aveva davanti a sé.
Vide quella che sembrava la lampada sul soffitto della stanza.
Ma la lampada non era così luminosa poco fa. Quella palla bianca emanava una luce molto più forte.
Sempre più forte.
In pochi secondi divenne incandescente.
Lio deglutì, spaventato.
La fonte di luce era caldissima.
Lio iniziò a sudare.
La temperatura ormai era talmente alta che il soffitto cominciava a creparsi.
Ma quei due scimmioni non se ne erano accorti?
La palla di fuoco stava vibrando.
“VIA! VIA PRIMA CHE...”
Una lingua di fuoco schizzò fuori dal bozzolo rovente, e andò a colpire Lio in pieno volto.
Il dolore più grande mai provato.
Lio urlò fino a strapparsi l'anima dai polmoni, mentre le fiamme gli cuocevano la pelle e facevano bollire il sangue.
Scalciò e si divincolò, finché la sedia non cadde all'indietro e lui non rotolò a terra.
Non aveva più la faccia.
Iniziò a rotolare su se stesso, urlando e gemendo, nel tentativo di spegnere le fiamme sul suo volto.
Il pavimento metallico era quanto di più freddo potesse usare per avere sollievo. Spalmò la faccia a terra, alternando le guance. Serrò gli occhi più che poté quando sentì che la carne cotta si stava staccando.
Si rannicchiò in un angolo, tremando.
“F-Fil” balbettò “Fil, quanto cazzo fa male...”
“È andato.” commentò qualcuno nella stanza.
Lio si girò: i marine erano ancora lì a guardarlo. La lampada sul soffitto era perfettamente al suo posto, e il soffitto non aveva alcuna crepa. Il volto faceva male, ma per i pugni che aveva subito fino a poco prima, non per una scottatura.
Uno dei due energumeni uscì. Lio sentì i suoi passi rimbombargli in testa, ed infine lo sentì parlare con qualcuno, al di là dello specchio che aveva alle spalle.
“Signore, il prigioniero vaneggia. Mi sa che sta tirando le cuoia.”
“Non è un'opzione che sono disposto a valutare. Riportatelo nella sua cella e fornitegli il necessario per rifocillarsi.”
“Come? Vuole sprecare...”
“Sta forse discutendo un mio ordine, caporale?”
“No, signore...”
“Bene, perché questo non è l'esercito, e io non tollero insubordinazioni. È evidente che la forza non serve per far collaborare il nostro uomo, quindi i vostri incentivi fisici d'ora in avanti verranno sospesi.”
“Signore, con tutto il dovuto rispetto...”
“Non ho fatto tutta questa strada per imprigionare quel topo di fogna solo per vederlo poi massacrato da voi marine! Ora, caporale, riporterà quel che rimane del soggetto nella sua cella, e lo rifornirà di tutto ciò di cui potrebbe avere bisogno. E intendo dire TUTTO. Se dovesse morire la riterrò personalmente responsabile. Mi ha capito?”
“Sì, signore.”
“E allora si dia da fare.”

Un battito di ciglia più tardi, Lio era sdraiato sul pavimento della sua cella. Era svenuto di nuovo, mentre lo trasportavano lì. Non aveva più le manette, ma i muscoli erano talmente rattrappiti da farlo sentire legato dalla testa ai piedi.
Lio non capiva cosa stesse succedendo e perché, tutto ciò che sapeva era che il suo fisico non avrebbe retto ancora a lungo. Che ne sarebbe stato della sua missione, se fosse morto? Tutto sarebbe andato perso per nulla. Nessuno avrebbe fatto giustizia ai suoi fratelli morti.
No, doveva tenere duro. Doveva resistere, doveva...
Le porte della cella si aprirono.
Lio non riuscì a vedere bene chi stesse entrando, la sua vista era offuscata e i suoi occhi erano gonfi per la debolezza ed il pestaggio.
Tutto ciò che riuscì a distinguere fu il vassoio che il visitatore teneva in mano. L'uomo si avvicinò, lo posò a terra davanti a lui, e così come era arrivato se ne andò, chiudendo le porte.
Lio osservò stancamente ciò che gli avevano portato; una ciotola piena di una qualche crema scura e un bicchiere di plastica dura pieno d'acqua.
E una siringa.
Lio sgranò gli occhi. Immediatamente si trascinò con tutta la forza che gli era rimasta e afferrò il piccolo flacone; non c'erano dubbi, per quanto fosse torbo e mal realizzato, quello era Hub.
Tese il braccio sinistro e conficcò l'ago nella vena ancora prima di poter solo pensare che si potesse trattare di una qualche trappola.
L'effetto fu veloce. Il tempo di pochi battiti cardiaci, e tutto il corpo di Lio tornò a prendere vigore.
Inspirò a pieni polmoni. Era bello come se non lo avesse mai fatto prima.

Provò ad alzarsi in piedi, ma non ci riuscì. Era evidente che si trattasse di una dose mal prodotta, in quanto gli effetti benefici dell'Hub erano immediati e totali: invece i muscoli di Lio risentivano ancora dell'astinenza, e anche gli occhi vedevano tutto sfuocato e annebbiato.
Improvvisamente, si rese conto del vuoto che aveva allo stomaco. L'ultima volta che aveva mangiato, si trovava ancora su Nidhogg.
Si avventò sulla ciotola, che conteneva una qualche specie di denso frullato. Lo ingurgitò senza troppe cerimonie; il sapore non era dei migliori, ma la fame non lasciava tempo ai gusti.
Lio deglutiva così rumorosamente che non si accorse del rumore delle porte che si aprivano; per questo balzò all'indietro quando, abbassando la ciotola, vide una persona accovacciata davanti a lui.
Veloce come una faina, l'intruso si svuotò le tasche, lasciando quattro siringhe piene di Hub sul vassoio.
“Nascondile, non ho potuto prenderne altre. Tienile strette, mi servi sveglio.”
E, altrettanto velocemente, sparì, chiudendosi la porta dietro.
Lio era talmente sorpreso da aver tenuto la bocca spalancata per tutto il tempo della visita.
Gli occhi annebbiati gli avevano impedito di vedere chi fosse.
La voce, tuttavia, era chiaramente femminile.

lunedì 2 giugno 2014

4. Rimpianto


La veglia era una tortura.
Dormire era anche peggio.
Lio alternava continuamente svenimenti a stati di tensione irrequieta. Ogni volta che si svegliava era preda di visioni sempre diverse e disturbanti: prima ammassi striscianti di serpenti erano apparsi dal pavimento e avevano tentato di stritolarlo, poi il pavimento si era aperto in una voragine in cui non era caduto per un soffio, infine le porte della cella si erano aperte e un enorme coccodrillo mutante, la Bestia, aveva infilato le sue immense fauci dentro nel tentativo di catturarlo, senza riuscirci. Tutte cose incredibili. Tutte cose vere. Oppure no.
Ma la tortura della paura non era nulla rispetto a quella che avveniva nel sonno.
Ogni volta che Lio chiudeva gli occhi, tornava a Nidhogg. Tornava nella sua casa, sul tetto del quartier generale, circondato dalla nebbia.
Ogni volta, la radio squittiva, e la voce ripeteva che stava arrivando qualcosa di strano. “Sono tanti...”
Ogni volta, Zero moriva. E Lio si svegliava.
Il tutto si ripeteva ciclicamente, e oltre alla mente anche il corpo stava risentendo della crisi d'astinenza. I polmoni erano come imbottiti di cotone, e bruciavano nel gonfiarsi. I muscoli erano intorpiditi e indeboliti, dolenti a ogni movimento.
Lio aveva già visto cosa poteva fare la crisi: su Nidhogg aveva affrontato clan rivali molto peggio organizzati di West Braxis, e tra le loro fila aveva incontrato persone rimaste per giorni senza Hub. Aveva così imparato che la droga dava forza e rimetteva in splendida forma appena dopo l'utilizzo, ma alla fine dell'effetto il conto da pagare era salato. In quella situazione, l'unica cosa da fare era assumere un'altra dose, e poi sopravvivere fino a prendere quella successiva, e così via. L'alternativa era appassire fino a morire.
Lio non aveva dosi a disposizione, perciò sapeva già del progressivo peggioramento cui andava incontro il suo fisico. Ciò che riservava la sua mente, invece, era un'indesiderata sorpresa.

In quel momento Lio era in piedi davanti alla finestra della sua stanza, su Nidhogg. Aveva deciso che essere lì era meglio di credere di essere lì.
Zero entrò, senza bussare come al solito.
“Come andiamo Lio? Sempre a perdere tempo?”
Lio sospirò. Era bello risentire la sua voce.
“Che hai King? Sei in pensiero per qualcosa?” chiese il ragazzo, sempre disposto ad aprire il cuore a chi ne aveva bisogno. Lio lo conosceva bene.
“Rimpianti” rispose Lio, senza smettere di fissare la nebbia, che si spostava lenta e silenziosa.
“Cosa? E perché?” chiese ancora Zero.
Lio sospirò di nuovo. Era bello respirare senza sentire dolore.
“Ho fallito nel proteggere questo clan. Ho deluso tutti.”
Zero lo fissò, stupito “Ma cosa stai dicendo? Andiamo alla grande, non c'è clan che non tema il nome di West Braxis. Siamo diventati una potenza imbattibile, e questo soprattutto grazie a te!”
“Grazie a Parcox” lo corresse Lio “tutto ciò che ho fatto è stato seguire le sue orme e le istruzioni da lui lasciate. Di fronte ad una nuova minaccia non ho saputo reagire.”
“Nuova minaccia?” il ragazzo scosse la testa “Ti stai preoccupando per niente. Non c'è niente che possa minacciarci qui su Nidhogg.”
“Qui su Nidhogg” ripeté Lio “Nessuno ha mai pensato a proteggersi da quello che viene da fuori.”
Zero rise “Da fuori? E chi mai potrebbe arrivare su questo pianeta desolato?”
In quel momento, la radio squittì.
Lio sapeva quale messaggio sarebbe arrivato.
“Che fai, non rispondi?” chiese Zero.
Lio si girò verso il giovane, gli tolse la pistola che aveva in tasca e si affrettò verso l'uscita.
“Ma che diavolo stai...” si sbalordì Zero.
La radio parlò senza che nessuno la toccasse. Non c'era modo di tenerla in silenzio.
“Qui sta succedendo qualcosa... Sono tanti...”
Lio si precipitò giù per le scale. Incrociò Pac, Charlie, Eddy, Dewey, Sam, un sacco di volti che conosceva bene. Non avrebbe sopportato nuovamente la loro perdita.
Corse fuori e raggiunse la Via degli Onori. Osservò con calma i volti sulle lapidi: Nick, Benji, il suo compagno di sempre Fil, il suo mentore Parcox.
Rimase lì, immobile, finché le fiamme blu dei reattori delle navi spaziali non illuminarono l'aria verdastra.
Quindi si puntò la pistola alla tempia. Chiuse gli occhi, e tirò il grilletto.

Si svegliò.
Cella, freddo, dolore, debolezza.
La brutta realtà dove viveva.
I marine lo stavano prelevando per pestarlo di nuovo. Quanto era passato dall'ultima volta? Giorni? Settimane?
Lio si lasciò trascinare senza opporre resistenza. Ormai aveva capito cosa doveva fare.
Doveva sopravvivere quel tanto che bastava per vedere morto il Magistrato.
Dopodiché sarebbe tornato su Nidhogg.
E l'avrebbe fatta finita.
Avrebbe definitivamente abbandonato la brutta realtà dove viveva, e avrebbe raggiunto Zero, Charlie, Pac e tutti gli altri. Di nuovo a combattere insieme. Per sempre.
Commenta, condividi, fammi sapere!
Alla prossima settimana!
#WelcomeToNidhogg