lunedì 26 maggio 2014

3. Il Dolore Non Si Vede



Lio sputò un po' di sangue.
Era certo che un altro colpo gli sarebbe costato un molare. E puntualmente, il colpo arrivò.
Lo stavano pestando da ore. Dall'ultima visita del Magistrato, due soldati erano passati più volte a prenderlo e lo avevano trascinato in un'altra stanza, circondata da specchi, arredata solo con una sedia. Una volta scaricato su di essa, Lio non aveva altra scelta che ricevere le nocche di entrambi in faccia.
Sembravano divertirsi un mondo. Era la terza volta che lo sottoponevano al brutale pestaggio, ma questa volta, tra un pugno e l'altro, si fermavano per fare anche delle domande.
“Da quanto tempo eri su Nidhogg?” pugno alla guancia sinistra.
“Cosa hai imparato sull'Hub?” diretto all'occhio.
“Sei in grado di produrlo?” montante al mento.
Lio sopportava senza fiatare. Aveva passato metà della sua vita su Nidhogg, e durante la sua permanenza era rimasto coinvolto in innumerevoli risse con altri clan. I colpi dei due aguzzini erano semplici carezze.
Continuarono a picchiarlo e a fare domande ancora per un po', dopodiché, vedendo che il loro prigioniero non aveva intenzione di collaborare, lo trascinarono e lo buttarono nella sua cella senza tante cerimonie.
Non appena se ne furono andati, Lio, da sdraiato sul freddo pavimento, lentamente si girò e si sedette appoggiando la schiena alla parete. Aveva dolori ovunque, un forte sapore di sangue in bocca e il respiro era affaticato.
“Devo resistere ancora un po', prima o poi troverò i modo di uscire di qui...” pensò tra sè, esausto. “Poi troverò il magistrato, e poi...poi...”

Si svegliò di soprassalto.
Era su una brandina. La cosa lo stupì, non c'erano brandine nella sua cella.
Guardandosi intorno, però, Lio intuì che non si trovava in una cella: era dentro l'abitazione del King, sul tetto del quartier generale di West Braxis.
Lio era confuso. Si tastò la faccia, ma la trovò intonsa, nessun livido o contusione lasciata dai pugni. Non aveva più manette, ed indossava una comoda tuta.
Si alzò di scatto dalla brandina e guardò fuori dalla finestra. Nebbia. La ben nota, monotona, tossica nebbia verde.
“Sono a casa” si stupì Lio ad alta voce “Ma come è possibile?...”
“Ma che fai, parli da solo?” domandò una voce alle sue spalle.
Lio si girò: Zero era lì.
“Zero?” chiese Lio, con un filo di voce.
“Sono io” rispose il ragazzo, con aria sorpresa “non mi riconosci più?”
Lio si precipitò verso di lui e lo abbracciò.
“Oooooooh ok, questo sì che è imbarazzante...” disse il ragazzo divincolandosi.
“Dove sono gli altri?” chiese Lio agitato “Dove sono finiti i marine? Come sei sopravvissuto?”
“Ma di che diavolo stai parlando?” si stranì Zero, evidentemente confuso.
“Hanno attaccato West Braxis Zero! Sono arrivati dal cielo, hanno iniziato a sparare e hanno...” Lio si interruppe “...hanno distrutto il quartier generale...”
Ma lui in quel momento si trovava nel quartier generale. Come era possibile?
La radio nell'angolo della stanza squillò.
Lio si precipitò a rispondere: “Chi è?”
“Qui parla stazione di guardia sull'ingresso est-centrale” gli rispose la radio “Qui...sta succedendo qualcosa...”
Lio rimase senza fiato “Cosa?”
“Si vedono delle grandi fiamme blu, oltre le nuvole. Sembrano dei reattori...non si tratta di normali moduli di trasporto dei prigionieri, o di una qualche nave ministeriale.
“Sono tanti...”
“No” rabbrividì Lio “Non di nuovo, non di nuovo!”
Istintivamente settò la radio in modo da comunicare con l'intera rete del clan. “Scappate!” urlò “Dovete scappare! Nascondervi! SCAPPATE O MORIRETE TUTTI!”
Un tonfo lo interruppe. Lio si girò e vide che Zero era caduto a terra.
“Zero?” chiese avvicinandosi “Zero, che succede?”
Zero era immobile, con gli occhi sgranati. Il corpo crivellato, in una pozza di sangue che si allargava lentamente.
“Oh no...” mormorò Lio in un soffio “No ti prego non di nuovo!”
Lio si gettò sul corpo morto, e, in lacrime, iniziò ad agitarlo.
“Cazzo Zero non farmi questo! Ti prego! TI PREGO NON LASCIARMI DA SOLO!”

Lio scattò a sedere. Era nella cella dell'astronave, ammanettato e a petto nudo.
Una lacrima stava scendendo sulla sua guancia, o forse era una goccia di sangue partita dalla ferita che aveva sulla tempia.
Lio si guardò attorno: Zero non c'era. Non era lì, non era morto...no, ERA morto, ma non lì...
Lio era confuso. Qualcosa non andava. Le ombre negli angoli della cella stavano ondeggiando.
Da quanto tempo era stato imprigionato? Giorni? Dalla visita del magistrato non aveva chiuso occhio, era impossibile calcolare il tempo.
Le ombre cominciavano ad avanzare.
Tentò di schiarirsi le idee e di fare un respiro profondo; non ci riuscì. Respirare faceva male, era come avere un mattone sullo sterno. Lo avevano pestato più forte di quanto credesse, oppure...
Le ombre ormai gli erano addosso.
Strisciò all'indietro fino alla porta. Qualsiasi cosa stesse succedendo nella sua testa, non era reale. Anche se era dannatamente spaventoso.
Le ombre iniziarono a roteare assumendo l'aspetto di un vortice.
Lio serrò gli occhi ed urlò, mentre la tempesta di ombre si scatenava su di lui.
“HUB!” gridò “MI SERVE HUB!”
Riaprì gli occhi. Tutto era tornato alla normalità.
Lio si abbandonò contro la porta della cella, scosso; stava sudando copiosamente, e continuava a respirare a fatica.
Un'ombra volò sulle sue gambe, facendolo sobbalzare. Sembrava essere proiettata dall'esterno, attraverso i due triangoli di vetro nella porta scorrevole.
Lio si impegnò con tutto se stesso per alzarsi e guardare all'esterno, aiutandosi con le spalle e con la testa contro la porta. Quando finalmente arrivò alla finestrella guardò fuori. Ma non vide nulla.
“Mi si sta fottendo la testa...” disse, barcollando. Le gambe gli tremavano, e infine cedettero facendolo crollare a terra.
Completamente abbandonato dalle sue forze, perse i sensi.

lunedì 19 maggio 2014

2. Cenere


Bruciore alla nuca, pensieri discordanti. Confusione.
Lio aprì gli occhi, lentamente; quel gesto fu sufficiente a farlo urlare di dolore.
Provò a portare le mani alle tempie, ma qualcosa le bloccava dietro la schiena. Allora provò ad alzarsi, ma anche le gambe erano bloccate. Un tintinnio gli suggerì che delle manette lo tenevano legato, polsi e caviglie.
Si trovava in una stanza quadrangolare, le cui porte scorrevoli erano chiuse. L'intero ambiente era fatto di grigio e freddo metallo.
L'emicrania lanciò una scossa attraverso la testa di Lio, che strinse gli occhi e urlò di nuovo. Lentamente riprese a respirare profondamente, nel tentativo di schiarirsi le idee.
Fu allora che l'immagine peggiore che avesse visto in vita sua tornò nei suoi occhi, dolorosa e lacerante come nel momento in cui si era impressa nei sui ricordi: Zero. A terra, morto. E lui, al suo fianco, immobile, impotente.
Lio spalancò gli occhi. Era reale. Zero non c'era più.
“No! NO!” urlò, agitandosi nell'inutile tentativo di liberarsi. Tutto ciò che riuscì a fare fu un movimento scoordinato, come un pesce che rantola fuori dall'acqua prima di morire.
“No, cazzo no! NO! Zero! ZEROOO!!!” cominciò ad urlare con quanto fiato aveva in gola. Le vene del suo collo si erano gonfiate ed era diventato rosso in viso, vittima di uno sforzo perfettamente infruttuoso.
“ZERO CAZZO, ZERO!” continuò a sbraitare, sbattendo ripetutamente la testa a terra con tutta la forza a disposizione.
“Zero...” ripeté un'ultima volta, con voce sempre più rotta. Dopodiché scoppiò in lacrime: un pianto disperato e senza freni.
Quello che fino a poche ore prima era il Paradiso di Lio, costruito con sudore e sangue in anni e anni di permanenza sul pianeta più ostile mai visto, era andato completamente in pezzi. Non c'era più nulla a cui aggrapparsi, la bandiera che fino a quel momento aveva fatto da fulcro nella sua vita si era staccata dall'asta ed era volata via, nelle tenebre.
Non riusciva a smettere di piangere, tanto che i singhiozzi lo portarono quasi a vomitare. Non c'era più nulla da fare. Tutto era perduto.
“Oh, suvvia. Un uomo grande e grosso come te che piange come una bambina senza caramelle?”
Quella voce. Era la stessa che aveva dato l'ordine di uccidere Zero, dall'altoparlante.
Lio alzò lo sguardo; non si era reso conto che la porta automatica davanti a lui si era aperta. Al di fuori di essa, un uomo alto coi capelli grigi ed un sorriso beffardo, avvolto in un lungo impermeabile nero, osservava il suo prigioniero con interesse.
“Se hai finito, dovrei chiarire alcuni dettagli...”
Si avvicinò a Lio, che se ne stava a terra incatenato lasciando in vista la schiena nuda; era rimasto infatti con addosso solo i pantaloni larghi.
“Bel tatuaggio” commentò lo sconosciuto, osservando il grande simbolo WB sulla schiena “deduco che fai parte del famigerato West Braxis.”
Lio continuò a fissarlo; chi diavolo era quello? E come sapeva di West Braxis?
Nonostante le molte domande che gli balenarono in testa, non aprì bocca. Un blocco allo stomaco, stretto come se una corda lo legasse, gli impediva di parlare, aggravato dalla disperazione e dal rancore per l'uomo che aveva di fronte, evidentemente colui che gli aveva appena distrutto la vita.
“Strano, mi aspettavo una reazione un po' diversa” commentò l’uomo, accosciandosi “comunque, dal modo in cui sbraitavi ordini e dalle tue cicatrici, deduco che eri un veterano, un pezzo grosso all’interno di quel branco di tossici. Me lo confermi?”
Lio strinse i denti e non disse nulla.
Lo sconosciuto parve moderatamente divertito da quell’atteggiamento; aprendo il suo impermeabile, prese dalla tasca interna una pistola, e la puntò alla testa del suo prigioniero.
“Sai, se dovessi aver preso l’uomo sbagliato avrei tutto il diritto di sbarazzarmi di te subito. Ora, fai il bravo e rispondimi, anche solo con un cenno: sei tu lo scarafaggio dominante, in quella nauseabonda discarica?”
Gli insulti rivolti alla sua casa non fecero altro che aumentare la rabbia di Lio che, imperterrito, fissava il suo aguzzino con gli occhi arrossati dalle lacrime e dalla collera. La pistola alla tempia non lo spaventava minimamente, anzi; dopo tutto il dolore che aveva appena vissuto, una fine immediata sarebbe stata una benedizione.
“Uhm...no” disse l'uomo, sollevando l'arma “dopotutto non vali lo spreco di un proiettile. Di sicuro sei di West Braxis, e di sicuro ci hai passato molto tempo. Questo mi basta.”
Detto ciò, rinfoderò la pistola e si sollevò in piedi.
“Toglimi almeno una piccola curiosità: per quale assurda ragione avete ucciso Bellinger?”
Lio rimase un paio di secondi a riflettere, poi, con voce rotta, chiese “Chi diavolo è Bellinger?”
Lo sconosciuto si mise a ridere. “Bellinger, il mio predecessore. Il povero drogato fallito a cui avete estorto per anni materiale di proprietà del Dominio”
Di nuovo Lio si concentrò per capire di chi diavolo stesse parlando; poi realizzò: il Magistrato, l'uomo che aveva ucciso Parcox in preda alle allucinazioni da Turok.
Predecessore. Quello che aveva davanti era dunque il nuovo Magistrato.
“Lo abbiamo cercato per un sacco di tempo, poi finalmente i grandi capi si sono decisi a darlo per disperso. Io sono stato designato come suo sostituto, e una volta preso il suo posto ho avuto accesso a tutta la sua banca dati. Diari personali, elenchi, appunti...ci ho messo più di un anno a recuperare tutti i segreti che quel disgustoso drogato teneva nascosti per paura di macchiare la propria reputazione.”
Si piegò in avanti e, guardando Lio con aria di scherno, aggiunse “Ma io non sono lui. Io non dipendo da voi, non ho bisogno di voi, e non ho paura di prendermi ciò che mi serve.”
Rialzandosi, si diresse verso l'uscita.
Lio non gli staccò gli occhi di dosso nemmeno per un istante; ora tutto ciò che desiderava fare era eliminare quell'uomo. Non avendo più nulla, ne sogni ne progetti, tutto ciò che restava era la vendetta.
“Smettila di fare il cattivo” disse il Magistrato, dandogli un ultimo sguardo “tu mi darai ciò che ti chiederò, che tu lo voglia o no. Non c'è nessuna alternativa per te, dopotutto. Ah, fossi in te non mi preoccuperei più di Nidhogg” concluse, premendo il tasto di chiusura della porta automatica “I miei uomini stanno ultimando il lavoro. Ormai i tuoi amici tossici sono tutti morti.”
Il sordo rumore delle lastre metalliche spezzò quell'ultima frase. E tutte le ultime speranze.

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#WelcomeToNidhogg

lunedì 12 maggio 2014

1. Tutto cade


Lio corse al pian terreno, seguito dal suo inseparabile compagno Zero.
“Che succede là fuori?” chiese, caricando il suo Gauss C-14.
“Non lo sappiamo” gli rispose Pac, venendogli incontro. “Abbiamo avvistato circa 6 navi da sbarco, ma oltre il nostro raggio visivo potrebbero essercene altre. Sono tutte ferme in quota, sorvolando il centro della città.”
“Non è un buon segno. Ci stanno osservando” riprese il King “Stato di allerta massima, voglio tutti armati e pronti a reagire. Non sappiamo che diavolo stia accadendo, e non possiamo permetterci di stare tranquilli.”
Buona parte del clan lo attendeva nell'atrio, in attesa di istruzioni. Lio diede ordine di distribuire le forze uniformemente lungo tutto il perimetro del quartiere, e di segnalare qualsiasi attività direttamente a lui, tramite radio.
Il King uscì, seguito da buona parte dei presenti, mentre altri membri del clan si diressero all’armeria per equipaggiarsi.
“Hai qualche idea?” chiese Zero, mentre camminavano.
“Non so cosa pensare” gli rispose Lio “Posso solo sperare che ci mandino un messaggio, che ci chiariscano le loro intenzioni. Dobbiamo essere pronti ad ogni eventualità.”
Non appena concluse la frase, un ammasso di plasma fiammeggiante grande come un meteorite oltrepassò le nubi e schizzò sopra le loro teste, illuminando l’oscurità della sera.
Increduli, i membri del clan videro la palla di fuoco abbattersi a tutta velocità contro il Quartier Generale, il quale, in pochi secondi, crollò su se stesso. I membri rimasti al suo interno non avevano speranze.
Un solo secondo, e tutto era finito. La loro casa, il loro cimelio, la bandiera che tanto avevano difeso in anni e anni di sanguinari scontri, era andata. Persa per sempre.
I WB in compagnia di Lio, scampati all'esplosione, erano allibiti. Alcuni caddero in ginocchio, in preda allo shock.
Il fumo dell'incendio saliva alto e rigonfio verso le nuvole scure, portandosi via l'anima di West Braxis. Da quelle stesse nuvole, tuttavia, scendeva lentamente un'enorme struttura metallica; tagliando inesorabilmente la coltre verdastra, un Incrociatore si avvicinava al suolo.
Quando fu ad una decina di metri di altezza al di sopra dei palazzi, l'astronave si fermò, silenziosa. Solo il crepitio delle fiamme sui resti del Quartier Generale interrompevano quel surreale silenzio.
Di colpo, due fari ai lati della prua dell'Incrociatore si accesero, emanando un fascio di luce accecante sui WB superstiti. Un altoparlante tuonò: “Fermi dove siete! Il Dominio sta riprendendo possesso del pianeta. Ogni resistenza verrà stroncata con forza. Gettate le armi!”
Lio, stordito da tutto ciò che stava succedendo, si guardò attorno. I suoi compagni, allo stesso modo, stavano immobili con le mani tremanti, incapaci di reagire in qualsiasi modo.
Ingoiando tutto il dolore che gli si era concentrato addosso, Lio riempì i polmoni e urlò.
“VIA DA QUI!”
I presenti sobbalzarono, riprendendosi dallo stordimento.
“Via! VIA!!! Tra i palazzi, nascondetevi!” gridò di nuovo Lio, iniziando a correre. Tornando in sé, gli altri subito lo seguirono.
“Dividiamoci! Sparpagliatevi tra i vicoli, non fatevi seguire!”
Mentre i superstiti eseguivano l’ordine e si davano alla fuga, dalle nubi sbucarono altri mezzi volanti, più piccoli. Questi si andarono a posare al suolo, aprendo i portelloni e lasciando uscire i passeggeri: otto Marine nelle loro possenti armature scesero da ogni nave e si radunarono al di sotto dell’Incrociatore.

All'interno della cabina di pilotaggio, un uomo osservava tutti quegli avvenimenti. Ritto in piedi e avvolto nel suo impermeabile, annuiva compiaciuto tenendo le mani unite dietro la schiena.
“Signore” disse un suo sottoposto, avvicinandosi “abbiamo appena tracciato l’abitante che con ogni probabilità è a capo di questo posto, come da lei richiesto. È stato piuttosto semplice, dal momento che solo uno di loro ha urlato degli ordini...difficilmente sbaglieremo bersaglio. I dati satcom sono stati inviati con successo alle truppe sul campo, che potranno quindi vedere la locazione dell’obbiettivo direttamente sulla visiera della loro tuta. La distorsione è minima, nonostante la perturbazione. Probabilità di successo, 97,4%”
“Molto bene” gli rispose “inviate una navetta a nord, in modo da chiudere la via di fuga. Aprite il canale di contatto col caporale, voglio vedere lo svolgersi dell’operazione.”
“E un’ultima cosa...”
“Sì, signore?”
”Non chiamarli abitanti. Questa è solo feccia.”

“Corri Zero, corri!” urlava Lio, correndo a perdifiato tra i vicoli. Il ragazzo lo aveva seguito, mentre tutti gli altri, come da lui ordinato, si erano separati da loro.
Senza smettere di correre, Zero esclamò “Qui siamo nella merda!”
Delle esplosioni in lontananza. Con ogni probabilità, il destino di West Braxis stava coinvolgendo anche il resto dei clan di Nidhogg.
“Dobbiamo nasconderci” rispose Lio “una volta al sicuro dobbiamo organizzare una resistenza, non so, dobbiamo inventarci qualcosa per reagire”
“Col cazzo che aspetto! Quei figli di puttana hanno ucciso tutti!” ribatté Zero, in preda alla rabbia. “Io glie la faccio pagare! Glie la...”
“Non fare il coglione!” lo freddò subito Lio “Che vuoi fare? Sparare alla loro astronave finché non finisci i colpi? E dopo che farai?”
Zero ammutolì. Lio aveva già sperimentato sulla sua pelle cosa volesse dire perdere la lucidità e commettere un terribile errore, quando Fil morì; non aveva alcuna intenzione di ripetersi. Avrebbe affrontato questa crisi da vero leader. Da vero King.
“Giriamo da quella parte, faremo prima. Ci sei?”
Zero non rispose.
“CI SEI?” ribadì Lio, con tono deciso.
“Sì, sì, ci sono” rispose Zero, seccato.
“Stai con me, cazzo. Ho bisogno del tuo aiuto, restiamo concentrati!”
Zero lo guardò, e annuì, con espressione determinata. Quindi i due svoltarono l'angolo, sempre di corsa.
Furono abbagliati per qualche istante da una luce bianca, che li costrinse a fermarsi; Lio si portò una mano davanti agli occhi, imprecando e cercando di filtrare tra le dita quel bagliore accecante.
Davanti a lui si trovava una navetta da sbarco che ostruiva il passaggio e puntava i fari anteriori su di loro: di fronte ad essa, sei Marine armati di tutto punto e chiusi nelle loro tute, puntavano le armi su di loro.
“Oh...merda...” bisbigliò il King.
“I topi sono in trappola” disse il primo della fila dei Marine “Quali sono gli ordini?”
Un altoparlante dalla navetta gracchiò un suono disturbato, poi una voce si distinse.
“Prendete quello più alto vivo, è lui l'obbiettivo. Uccidete l'altro.”
Lio trasalì. Non ebbe il tempo di fare altro.
Una pioggia di proiettili si abbatté su Zero, implacabile. Travolto dai colpi, il ragazzo fu sbilanciato all'indietro mentre le urla gli si incastravano in gola.
La salva di colpi si arrestò, e il corpo di Zero cadde a terra. Morto.
Lio non era più in sé. Non era più lui quello immobile davanti alla truppa di Marine, non era più lui il King, non era più lui ad osservare esterrefatto il cadavere di suo fratello riverso a terra.
In quel momento, Zero era morto. E Lio era morto con lui.
Il caporale della truppa fece un cenno, quindi uno dei Marine si avvicinò al WB superstite. Lio, totalmente incurante di quanto accadesse attorno a lui, fissava immobile come una statua di sale il petto crivellato del suo più fedele compagno.
Un forte colpo alla nuca col calcio del fucile. Poi fu solo buio.

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Continua lunedì prossimo!
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lunedì 5 maggio 2014

Prologo

Giornata di nebbia.
Come ogni dannatissimo giorno su Nidhogg, del resto.
L'uomo fissava il lento, quasi impercettibile scorrere delle nuvole verdastre, grattandosi il mento coperto dal suo inseparabile passamontagna nero.
“Ehi, Charlie, qui ho ripulito tutto” sentenziò una voce alle sue spalle.
“Ottimo. Come siamo andati oggi?” chiese, voltandosi.
“Pieno carico, ovviamente. Zero non sbaglia un colpo!” rispose il ragazzo, con aria molto ironica.
Erano passati quasi tre anni dallo scontro tra West Braxis e Hiver Hit, i due più grandi clan di Nidhogg. In quell'occasione, battezzata nei racconti che rimbalzavano di bocca in bocca come La Grande Battaglia, i WB uscirono vincitori, mentre il clan rivale andò completamente distrutto. Così come il corpo del suo fondatore, Zel, il Cobra.
Ora nuovi nomi arricchivano le storie di violenza e morte che componevano il mosaico di vite e di battaglie che era Nidhogg: al fianco di nomi leggendari come l'Alchimista, colui che ideò e sintetizzò la droga Hub, o come Frank, il nerboruto e taciturno proprietario dell'unico locale su tutto il pianeta, ora si udivano i nomi di Parcox, il primo King di WB, e Lio, l'attuale King, colui che distrusse Hiver Hit.
Zero e Charlie erano parte integrante di queste storie. Combattenti temibili, anche loro destinati a finire nella leggenda di West Braxis.
I due compagni si avviarono verso il quartier generale, con un consistente carico di Hubcum, la muffa necessaria per sintetizzare l'Hub, la potente droga utilizzata come moneta su quel pianeta; produrre più droga e di una buona qualità, voleva dire avere in mano la contorta e primitiva economia di quella società basata sulla violenza.
“Stasera ce ne andiamo a fare un giro a Little England?” domandò Zero, mentre camminavano tra i palazzi abbandonati avvolti nella nebbia.
Charlie inarcò un sopracciglio, poi disse “Sai, non troppo tempo fa una richiesta del genere da parte tua non me la sarei mai aspettata.”
Little England era il quartiere-bordello.
Zero rise “I tempi cambiano amico mio. Non troppo tempo fa rischiavamo di morire ogni volta che uscivamo dal nostro quartiere. Oggi, invece, chiunque ci veda preferisce nascondersi o scappare. La vita qui fa sempre schifo, ma è anche molto facile dopotutto.”
“Niente di più vero” annuì Charlie.
E infatti così erano passate le giornate fino ad allora: gli scontri capitavano solo a chi se li andava a cercare, la tranquillità regnava sovrana, ai limiti della noia. Tuttavia, confrontando la situazione attuale con quella vissuta fino a tre anni prima, in costante lotta per la sopravvivenza, nessun WB si sarebbe mai detto nostalgico.
Giornata di nebbia.
Come ogni dannatissimo giorno su Nidhogg, del resto. Quella nebbia verdastra e inquinante che avvolgeva tutto, causando l'irreversibile perdita di qualunque pelo sul corpo, non aveva mai smesso di esserci. Era lì quando i primi prigionieri furono deportati, era lì quando questi ultimi si organizzarono in bande, era lì quando arrivò Zero, era lì quando morì Parcox, ed era ancora lì in quel momento. Nebbia, che rendeva un giorno uguale all'altro, rendendo il calcolo dei mesi e degli anni pressoché inutile. Neppure le stagioni cambiavano mai, l'unica perenne stagione di Nidhogg era la stagione della Nebbia.
I due WB erano ormai giunti a destinazione. Una volta posato ad essiccare il carico nella stanza seminterrata, si congedarono come ogni giorno, e mentre Charlie si dirigeva nella sua stanza, Zero salì fino all'ultimo piano.
L'abitazione del King non era cambiata nel corso degli anni. Una stanza, quasi una piccola casetta, nella quale venivano prese tutte le decisioni riguardanti il clan.
Zero aprì senza bussare, come era abituato a fare. All'interno trovò Lio, King di West Braxis, comandante in capo del clan più potente di Nidhogg, che lanciava freccette contro un bersaglio sul muro.
“Il tuo impegno nel lavoro per il Clan mi sbalordisce ogni volta di più” affermò Zero, ironico.
Lio si voltò, visibilmente seccato per l'interruzione “Ehi, ma che pretendi da me? Non ho forse diritto anche io a svagarmi?”
“Oh, quello ce l'hai eccome” ribatté il ragazzo “e lo sfrutti in ogni momento della tua giornata a quanto sembra!”
I due si misero a ridere, e si batterono il pugno. Tra i due c'era una sintonia superiore a quella di chiunque altro nel clan; parlavano, si comportavano e ragionavano come veri fratelli.
“Racconta un po' come è andata oggi” disse Lio
“Bè vediamo” iniziò Zero, sdraiandosi di traverso su una delle due poltrone “muffa, muffa, muffa, pausa, poi muffa, muffa e infine muffa. Emozionante!”
“Eheh, bè, cosa vuoi di più dalla vita?” domandò Lio.
“Un po' di novità nel solito via vai quotidiano non sarebbe male...”
“Tipo?”
“Non saprei” si chiese il ragazzo “potrei pensare di mettere su famiglia...”
I due incrociarono per qualche secondo gli sguardi, poi esplosero in una fragorosa risata. Le uniche donne a risiedere su Nidhogg erano schiave, deportate sul pianeta da qualche politico in crisi di astinenza per ottenere la droga sopraffina prodotta tra gli edifici abbandonati del pianeta. Le sfortunate vivevano la loro vita come prostitute, fino a che non tentavano la fuga o venivano considerate non più utili al loro fine: in entrambi i casi, venivano uccise e buttate in un fosso senza troppi ripensamenti.
“Dai su, smettiamola di dire scemenze. Fammi vedere come tiri” riprese Zero
“Senti, giovane, se sei venuto qui per prendermi per il culo te ne puoi tranquillamente andare!” gli rispose il King.
Lo scambio di battute fu interrotto dalla radio, posta in un angolo della stanza, che si mise a suonare. Lio si affrettò a rispondere, non troppo ansioso di sentirsi dare nuovamente dello scansafatiche.
“Qui parla il King, ditemi tutto!” disse Lio, rispondendo alla chiamata.
“Qui parla stazione di guardia sull'ingresso est-centrale” gli rispose la radio “Qui...sta succedendo qualcosa...”
“Cosa c'è? Ci stanno osservando?” chiese il King, tranquillo “Dai, ne è passato di tempo dall'ultima volta, ma dovreste sapere bene cosa si fa in questi casi! Fategli vedere chi comanda!”
“No...non c'entra, non è in strada!” rispose la guardia, vagamente turbata “Si vedono delle grandi fiamme blu, oltre le nuvole. Sembrano dei reattori...non si tratta di normali moduli di trasporto dei prigionieri, o di una qualche nave ministeriale.
“Sono tanti...”
Lio guardò Zero, il quale si alzò, preoccupato.
Giornata di nebbia.
Come ogni dannatissimo giorno su Nidhogg, del resto.
O forse no.

La pubblicazione continuerà per tutto il mese, ogni lunedì a mezzanotte in punto
(ho già programmato le uscite, quindi anche se schiatto leggerete comunque, tranquilli)
Che ne dite? Vi piace? Avete letto il prequel? Commentate qui oppure contattatemi, i link si trovano cliccando sul + qua sotto.

Enjoy.