lunedì 25 agosto 2014

#RandomMadness - Mi fido di te



Cloe era bellissima. Era la ragazza più desiderata dell'istituto. Non c'era ragazzo che non la sognasse. Già al secondo anno aveva fatto impazzire tutti i compagni di classe, e pure alcune ragazze; di recente si vociferava di un professore trasferito altrove a causa di una questione troppo scabrosa per poter venire alla luce.
Cloe sapeva di essere perfetta, e usava questa sua perfezione come una trappola: poteva avere tutto ciò che desiderava, come e dove voleva, senza alcuna limitazione. Ben presto la compagnia maschile divenne uno stuzzicante giochetto, un passatempo quotidiano, e non fu più sufficiente a divertirla a dovere: per questa ragione iniziò a giocare con le persone, a fare loro del male. Costringeva i fidanzati a separarsi promettendo amore eterno, poi li rifiutava. Illudeva, poi deludeva. Aveva costruito intorno a se un lugubre castello di lacrime e cuori spezzati, sicura che nulla e nessuno la avrebbe disturbata nella sua opera. Perché lei era perfetta.
Le cose cambiarono quando Jack si trasferì all'istituto. Un ragazzo particolare, molto strano, a detta di tutti; quanti giovani cambierebbero città soltanto per inseguire una storia d'amore? Eppure Jack lo aveva fatto. Aveva conosciuto Elly durante una vacanza, se ne era innamorato e da allora non aveva più voluto altro che lei. Si trasferì dopo pochi mesi di fidanzamento, e si iscrisse alla stessa scuola della sua amata. Non aveva amici, ma sembrava che non gli importasse; aveva solo un legame nei suoi interessi. Qualcuno sosteneva che fosse pericoloso, ed era meglio starne alla larga.
Cloe lo scelse come preda. Sarebbe stato sublime, il giovane innamorato che abbandona tutto per la sua bella, poi incontra una Dea che lo seduce, lo rapisce, e gli toglie l'unica cosa che gli è rimasta. Quali conseguenze avrebbe portato? Nella sua perversa curiosità, Cloe voleva scoprirlo.
Tuttavia successe qualcosa che non poteva prevedere.
"No"
Quella semplice sillaba, unita alla porta dell'armadietto che sbatteva fragorosamente. Un rifiuto. Mai, mai prima di allora Cloe si era sentita dire no dopo un suo provocante invito ad uscire insieme. Un affronto. Un affronto alla sua bellezza, al suo potere, alla sua perfezione. Inaccettabile.
Dopo qualche settimana gli studenti furono tutti invitati ad una festa. Elly non volle partecipare, timida e claustrofobica com'era, ma insistette perché Jack andasse e si divertisse. "Mi fido di te. Ti amo."
Jack obbedì riluttante, dal momento che non amava le discoteche, ma la festa era offerta dall'istituto e non c'era niente di meglio da fare.
Cloe ovviamente non volle farsi scappare l'occasione: fece chiamare Jack nella saletta privata appositamente prenotata. Non appena il ragazzo si presentò, di soppiatto chiuse a chiave la porta dietro alle sue spalle.
“Siamo solo io e te” disse  lei, compiaciuta “e fuori da questa stanza nessuno può sentirci.”
Jack la guardò: indossava un vestito che difficilmente potrebbe essere definito tale: una quantità esigua di tessuto copriva a stento le parti intime, e mostrava le curve di Cloe in tutta la loro perfezione. Qualsiasi uomo avrebbe perso la testa di fronte a quella visione paradisiaca. Ma non Jack.
“Che diavolo vuoi ancora da me?” chiese, seccato.
Cloe non si perse d'animo; sapeva che sarebbe stata una caccia difficile. “Siediti” propose, indicando il divanetto. Jack si sedette, continuando a sorseggiare la birra che teneva in mano.
Cloe si portò davanti a lui, camminando lentamente. Jack nemmeno la guardò.
“Ti voglio, Jack” sussurrò lei.
“Ti ho già detto di no. Sono impegnato. Ci sono almeno 200 ragazzi al piano di sotto che ucciderebbero per essere al mio posto, penso tu possa rivolgerti ad uno di loro a caso.” la freddò Jack. Il suo tono era tanto distaccato da sembrare quasi un robot.
“No, Jack” riprese Cloe, avvicinandosi ancora “io voglio te.”
“Stai lontana da me. Primo avvertimento.” rispose lui, ancor più deciso.
Cloe non si sarebbe arresa per nessun motivo. Incurante del rifiuto, si sedette a cavalcioni sulle gambe di Jack. Lui finì la birra come se niente fosse, ignorandola.
“So che mi vuoi. Non c'è uomo al mondo che non mi voglia” sussurrò lei “e stasera ho scelto te...”
“Non mi interessa. Io non ne voglio sapere. Come ho ripetuto, sono già impegnato."
Lei si accostò al suo viso cosicché sentisse il suo profumo.
"Stai lontana da me. Secondo avvertimento. Non farmi arrivare al terzo.”
Jack scandiva le frasi con rabbia. Era evidente che la situazione lo infastidiva molto.
Cloe era ormai ossessionata da Jack. Non gli avrebbe mai permesso di uscire da lì senza prima averlo posseduto.
“Davvero rinunceresti a me per quella bambina?” chiese lei, ridacchiando.
“Quella bambina è la MIA bambina. Sono venuto qui da solo perché lei si fida ciecamente di me. E io preferirei morire piuttosto che tradire la sua fiducia. Non lo sopporterebbe. E' fragile, è piccola, ha bisogno di me. Non rischierò di perderla per un tuo stupido giochetto. Lei è l'unica cosa bella che mi è rimasta.”
Cloe si stava spazientendo. Doveva giocare il tutto per tutto. Appoggiando le mani sul divanetto avvicino pericolosamente il suo volto a quello di Jack. Mordendosi il labbro inferiore, lo fissò dritto negli occhi.
“Stai lontana da me. Ultimo avvertimento.”
Cloe non si trattenne più; rapidamente, lo baciò sulle labbra.
Per alcuni istanti l'immobilità di lui le fece credere di avercela fatta. Finalmente lo avrebbe avuto. Il suo potere era riconquistato.
Poi, un lampo di dolore le attraversò il bellissimo viso.
Aprì gli occhi: vide il suo sguardo colmo di rabbia, e i suoi denti che stringevano il labbro inferiore di lei in una morsa strettissima.
Non ebbe nemmeno il tempo di urlare, che lui diede una stretta ancora più forte al labbro che teneva fra i denti, recidendolo.
Lei, terrorizzata e tremante, si portò le mani alla bocca. Grosse e calde gocce di sangue le piovevano fra le dita. Il suo viso perfetto era stato deturpato.
Cloe urlò, ma il suo grido venne immediatamente zittito dalla mano di Jack, che di scatto le andò a stringerle la gola.
Lui la fissò, sputando il brandello di carne che ancora teneva in bocca. Il suo volto macchiato di sangue si inarcò in un sorriso perverso.
“Siamo solo io e te” disse  lui, compiaciuto “e fuori da questa stanza nessuno può sentirci.”

FINE

Paura, eh?

lunedì 18 agosto 2014

#RandomMadness - Monsters out of the pocket



In occasione dell'imminente arrivo di Pokémon Rubino e Zaffiro, una piccola chicca lì ambientata.
Ringrazio la mia cara amica Krona per l'ispirazione (e per buona parte delle grafiche che vedete da queste parti)

L'aria fresca della notte sommergeva la foresta dormiente.
Il ronzare di qualche coleottero e il lontano verso di un Hoothoot erano l'unica interruzione al silenzio surreale che circondava l'isolata baracca di legno, persa nel centro della foresta sconfinata.
Dentro di essa, sotto la luce incerta di un neon fatiscente, un allenatore sorseggiava una bibita in lattina, seduto su una panca con le spalle rivolte al bancone.
"Posto del cazzo."
Il suo starter uscì dalla prima pokéball della sua cartucciera.
Acquattato sul pavimento, il pokémon occupava più di metà dell'area dell'ingresso.
“'pert”
“Che c'è, ti annoi anche tu?”
“Swampert, 'pert 'pert”
“Calmo. Ci metteremo poco.”
E infatti, una manciata di secondi più tardi, il proprietario dell'ostello uscì dalla porta dietro al bancone. Visibilmente scocciato dalla visita notturna, si stava malamente incalzando la canottiera bisunta nei pantaloni.
Era un uomo grassoccio e poco più alto del bancone stesso, con una spiccata calvizie. Si avventò sul registro dell'ostello senza nemmeno guardare l'ospite. Quantomeno, ebbe il buon gusto di non rimproverare il cliente per aver suonato il campanello, costringendolo a trascinarsi fuori dal letto.
“Oggi siamo completamente liberi, potrete avere la stanza che volete. Quanti posti ti servono?” chiese, sbrigativo.
“Sono solo con la mia squadra” gli rispose l'allenatore, senza voltarsi.
Solo allora il proprietario alzò leggermente gli occhi dal libro. Nel vedere lo Swampert annoiato che si guardava attorno, si accigliò.
“Ti spiacerebbe farlo rientrare? Preferiamo che i pokémon rimangano nelle loro sfere, specialmente quelli grossi come il tuo. Se rompe qualcosa o se sporca in giro, dovrai ripagarmi le spese!”
L'allenatore si limitò a girarsi.
Il proprietario lo guardò. E spalancò gli occhi.
“TU!”
“Già, io.” rispose l'allenatore, alzandosi. Swampert, di colpo, incollò gli occhi addosso al gestore della baracca.
“Non voglio guai nel mio locale! Vattene fuori di qui!” e subito svicolò il bancone intenzionato a spingere fuori il ragazzo.
Le sue aspettative si sgretolarono, quando se lo trovò davanti e vide che era più alto di lui.
“S-sei cresciuto vedo.”
“Tu invece, sei rimasto il solito viscido, piccolo verme.”
L'allenatore afferrò la canottiera e spinse indietro il goffo ometto, fino a metterlo con le spalle al muro.
“Quanto tempo è passato? 5 anni?”
“Non abbastanza!” sbraitò il proprietario, tentando di divincolarsi senza successo “Mi hai già rovinato la vita una volta, non voglio più vederti!”
“Ti ho solo consegnato alla giustizia. Qualcuno mi definirebbe un eroe, se non lo avessi fatto solo per il compenso.”
“Eri solo un ragazzino megalomane, e lo sei anche ora!” la voce del sudaticcio gestore era virata dalla rabbia all'agitazione “Io non c'entravo nulla coi Magma!”
“Assolutamente. Eri nei sotterranei di una base di terroristi solo per caso.”
Vi fu una breve pausa di silenzio.
“...mi avevano rapito!”
L'allenatore afferrò la testa dell'uomo e la sbatté con violenza contro il bordo del bancone. L'urto stordì il gestore, che per poco non svenne.
“Non prendermi per il culo. Tu collabori con le associazioni terroristiche, qualsiasi esse siano, purché ti paghino. Il che mi torna utile.”
L'uomo prese fiato con l'intenzione di reagire all'aggressione, ma ci ripensò quando vide lo Swampert in piedi dietro all'allenatore. Pokémon e mentore respiravano all'unisono, digrignando i denti, l'uno estensione del corpo e della rabbia dell'altro.
“C-Che cosa vuoi?”
“Voglio sapere dove sono andati gli ultimi visitatori di questa catapecchia. Hanno le mani sporche, e voglio guadagnarci qualcosa.”
“M-ma...tu come sai...”
Una nuova spinta, un impatto più potente del primo. Questa volta un rivolo di sangue uscì dalla tempia dell'uomo.
“Dove.”
“K-Kanto” balbettò l'uomo, intontito.
L'allenatore mollò la presa, e fece un passo indietro.
“Bravo, vedo che trattandoti con le buone sei sempre loquace.” si rivolse al pokémon “Esci, bello. Ti raggiungo subito.”
Lo Swampert obbedì immediatamente, si girò ed uscì tirando giù la porta.
“No! La mia locanda!” esclamò il gestore.
“Hai problemi più gravi ora.” L'allenatore sogghignò. “King.”
Un altro pokémon uscì dalla sua sfera, senza che l'allenatore la toccasse: un Kingler molto grosso, con gli occhi strabici verso l'esterno che gli conferivano un aspetto folle. Non emetteva versi, si limitava a schioccare le fauci con vigore.
“Il mio King.” l'allenatore si portò accanto a lui e gli posò una mano sulla testa. Il Kingler schioccò la mandibola 3 volte. “Dicono che i pokemon assumano tratti del carattere dei loro allenatori, e viceversa. Quando l'ho catturato era il Krabby più gioioso e giocherellone che si fosse mai visto. È preoccupante che ora sia diventato questo pazzo sanguinario figlio di puttana, tu che ne pensi? Dopotutto, tu hai già visto cosa sono capace di fare.”
Il proprietario non parlò.
“Dimmi, questa baracca è legalmente registrata come ostello?”
L'uomo negò con un cenno del capo, senza fiatare.
“Bene. Allora non mancherà a nessuno.”
L'uomo impallidì, atterrito.
“Hai 10 secondi.”
Con una velocità straordinaria per il suo peso, il gestore schizzò nella porta dietro al bancone diretto probabilmente verso un'uscita secondaria.
L'allenatore attese il tempo promesso, poi parlò “King, sai cosa fare.”
Con tutta calma, l'allenatore recuperò la lattina e mandò giù l'ultimo sorso, gettandosela poi alle spalle mentre schegge di legno gli volavano attorno.
Il Kingler vibrava colpi devastanti in ogni direzione con la sua chela gigantesca, disintegrando ogni cosa gli capitasse a tiro, arredamenti e muri. Le mazzate erano così potenti che le zampe del pokémon perdevano aderenza e scivolavano in direzione della chela distruttrice.
L'allenatore attese che la devastazione fosse compiuta. Quando la capanna fu ridotta a una massa di legni rotti, richiamò Kingler nella sua sfera.
Strappando un filo d'erba e mettendolo in bocca, l'allenatore rivolse il suo sguardo al cielo. Notò che grosse nubi erano arrivate rapidamente a coprire il limpido cielo stellato.
Guardò Swampert.
“Sei stato tu?”
“'pert”
Sorrise. “Usciamo di scena nella pioggia. Sei il solito melodrammatico.”
Mentre montava sulla schiena del suo starter, alcune gocce aprirono la strada a uno scroscio intenso.
“Raggiungiamo la costa” ordinò l'allenatore. Swampert si incamminò sulle 4 zampe nel sentiero che diventava ogni secondo più fangoso, fatto a lui evidentemente gradito. L'allenatore stava in equilibrio sulla sua schiena, un piede più avanti dell'altro. Mentre Swampert si gettava in un torrente, estrasse dalla tasca il suo PokéNav e compose un numero.
“Ciao tesoro. Grandi novità, parto per Kanto. E ho intenzione di tornare ricco.”

Vi piace? Magari un giorno proseguirà, chissà.
La vostra opinione è fondamentale! Fatemi sapere!

lunedì 4 agosto 2014

#RandomMadness - Vendicati



A volte mi sveglio in piena notte arrabbiato.
Non so il motivo, e ciò mi fa arrabbiare ancora di più.
Qualche volta mi sfogo sulla tastiera. Questo è il risultato di una di quelle volte.
Non sono una persona sana, temo.

Edo si fermò davanti al portone, tirando l'ultimo mozzicone di sigaretta del pacchetto che aveva nervosamente finito in poco più di tre ore. Non vedeva Fred da due settimane, quindi una settimana prima della tragedia.
Fred era sempre stato un tipo spericolato: alcool, gioco d'azzardo, corse clandestine. Lui e Edo erano cresciuti insieme, stesse scuole frequentate, stesse sospensioni, stesse perdite di tempo dopo il diploma, nella vana ricerca di un lavoro. Tuttavia negli ultimi tempi qualcosa era cambiato.
L'arrivo del Muto aveva stravolto tutto. Il Muto. Chissà come si chiamava sul serio, nessuno lo aveva mai chiamato per nome. "Muto" per di più era solo un nomignolo, visto che non gli mancava la parola. Anzi. Per quanto ne usasse poche, le parole del Muto potevano troncare qualsiasi cosa; dai giri di soldi sbagliati, agli animi più duri. E dove non riusciva a colpire con le parole, il Muto colpiva col braccio.
Era un criminale, tutti lo sapevano. Ma nessuno aveva il coraggio di fare niente, per paura di ritrovarsi con un dito mozzato, o peggio. Il suo potere era affermato e rispettato da chiunque.
Qualsiasi cosa accadesse in città, l'ultima parola era del Muto.
Chiunque avesse a che fare di frequente col Muto, conosceva per forza la sua famiglia. La madre, la sorella e il fratello più giovane erano strettamente coinvolti nei suoi affari malavitosi, caratteristica insolita per un poco di buono. Si vocifera che anni addietro un cane abbia morso la sorella del Muto, e che il giorno successivo sia il cane che la sua padrona furono investiti da un camion; l'animale morì schiacciato da una ruota e la donna passò il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle. Incidente, dissero sbirri e giornalisti. Tutta gente facilmente corrompibile.
Non si seppe mai se la storia era vera, ma di certo contribuì ad espandere il nome del Muto, e a garantire la sicurezza della sua famiglia.
L'approdo del Muto nella vita di Edo e Fred fu del tutto casuale, una sera durante un combattimento di galli. Due scommettitori vincenti saltano subito all'occhio di chi organizza gli incontri, e così il Muto decise di ingaggiare i ragazzi per qualche commissione utile, promettendo in cambio bei soldoni.
Edo era restio, e non accettò. Al contrario, Fred di fece incantare dal profumo dei soldi, ed entrò nel giro. Inizialmente fu facile, era tutta una questione di portare pacchi qui e là, talvolta tagliare le gomme alle auto, nulla di eccessivamente pericoloso. E in cambio, Fred riceveva copiose quantità di denaro. Il Muto non era affatto stupido, avrebbe potuto scegliere chiunque per quegli incarichi, ma scelse Fred. Fred, con la sua mania per il gioco e la sua incapacità di controllarsi. Tutti i soldi che stipendiavano Fred tornavano in tasca al Muto, con tanto di interessi. Edo osservava la situazione, e capiva tristemente il ciclo. Provò a fermarlo, a farlo ragionare, ma fu tutto inutile.
Arrivarono a litigare, e a dividersi sempre di più.
Fred iniziò ad indebitarsi. Ingenuamente, chiese un prestito al Muto, sicuro di poter poi ripagarlo facilmente. Non fu così.
Le richieste del Muto si fecero sempre più pressanti, e Fred si fece prendere sempre di più dal panico. Disperato, corse da Edo, chiedendogli di saldare il debito al posto suo; Edo si infuriò, irritato dal fatto che il suo migliore amico si fosse ridotto fino a quel punto. Si insultarono pesantemente, quindi Edo rifiutò il proprio aiuto a Fred. Lasciandolo nelle mani del Muto.
Una settimana dopo il tremendo litigio, il Muto dichiarò l'ultimatum per Fred. Voleva i soldi, subito. Fred venne pestato, e a seguito di ciò il Muto dimostrò a cosa era dovuta la sua terribile fama: imbavagliata e legata, Sally, la sorella di Fred, l'unico legame di sangue con cui era rimasto sempre in contatto, fu portata lì al suo cospetto. E giustiziata, con un colpo alla testa.
Dopo altri sette giorni, Edo trovò il coraggio di andare a parlare con Fred. I sensi di colpa in lui erano grandi e dolorosi. Avrebbe potuto agire, avrebbe potuto fare qualcosa per impedire tutto ciò.
Ma non lo fece.
Con la mano tremante, gettò via il mozzicone di sigaretta, poi aprì il portone della palazzina ed entrò. Giunto all'appartamento di Fred, recuperò la chiave da sotto lo zerbino, e con essa aprì. La casa era completamente rivestita con teli di nailon, come se fossero in corso dei lavori. Molto strano per un disorganizzato cronico come Fred.
Edo sentì dei rumori in salotto, quindi si affacciò nella stanza: vide Fred, di spalle, con una tuta da lavoro, intento ad armeggiare qualcosa su un a tavola di legno. Mucchi di nailon e teli bianchi erano ancora più abbondanti in quella stanza, uno era arrotolato pure sul banco dove stava lavorando.
"Fred?" chiese Edo, per far notare la sua presenza
Fred voltò la testa, l'espressione del suo volto era completamente vuota ed assente. Vedendo Edo non disse nemmeno una parola, e ritornò al proprio lavoro.
"Fred, ti devo parlare..." proseguì Edo.
"Mh-mh" fu la risposta che ricevette.
"Senti fratello...mi dispiace. Ho commesso solo errori con te da quando questa storia del Muto è cominciata...dovevo fare di più e non l'ho fatto. Non ho scusanti. Due settimane fa ti ho detto delle cose orribili, ti ho detto che sei un pazzo squinternato ad immischiarti in certe cose, che sei sempre stato un folle...non è vero questo. La verità è che sei un bravo ragazzo, forse solo troppo arrogante e spericolato. Mi sono lasciato andare, e ti chiedo scusa anche di questo."
"Mh-mh" rispose di nuovo Fred.
"Sally...che diavolo...io e Sally ci siamo sempre odiati. Lei mi accusava di averti portato via dalla tua famiglia, anche se non era vero, però...Fred, non hai idea di quanto mi faccia male questa cosa. Non doveva andarci di mezzo lei, non c'entrava nulla. Dovevano prendere me. Sono io che ti sto a fianco dall'inizio di tutto, era me che dovevano prendere. Dovevo esserci io..."
Si fermò un istante per asciugare la lacrima che rigava il suo viso. Fred continuava imperterrito a lavorare.
"Ma oramai è tardi. Non posso più fare niente per aiutarla...ma posso fare qualcosa per aiutare te. Il debito col Muto può ancora essere saldato. Pagherò con i miei soldi, dopodiché usciremo dal giro. Niente più scommesse, niente più crimine, e soprattutto niente più Muto. Prenderemo le distanze da tutto e da tutti e ricominceremo da capo. Devi solo dirmi di sì, Fred..."
"Mmh-mmh" fece il padrone di casa, sempre senza fermarsi.
"Fratello, ti prego non fare così! Il mio aiuto è arrivato tardi, ma ti permetterà di uscirne senza altri dolori. Ti prego."
Fred voltò di nuovo la testa: i suoi occhi erano completamente privi di vita.
Edo rimase spiazzato per qualche secondo, poi capì.
"Aspetta...ti conosco, so cosa passa per quella testa matta. Tu vuoi farla pagare al Muto"
"Mmh-mmh" mugugnò di nuovo Fred.
"Tu sei completamente pazzo. Non so se ricordi che razza di storie circolano su quel maniaco. Non puoi fare nulla fratello, quello ti ammazza solo se pensi di fare qualcosa contro di lui. Dammi retta, cerchiamo di uscirne fuori il più in fretta possibile."
Fred finalmente finì di lavorare. Appoggiò le mani al tavolo e prese un bel respiro.
"Quell'uomo ha ucciso la mia famiglia..."
Nell'istante in cui sentì quelle parole, il sangue di Edo gelò nelle sue vene.
"E quindi che vorresti fare? Vendicarti allo stesso modo? Tu sei completamente pazzo! La famiglia del Muto e la cosa più importante che ci sia al mondo per lui, se gli tocchi quella sei finito! FINITO!"
Fred rimase fermo immobile. Imperturbabile.
"Fratello, ti prego" riprese Edo "Vendicarti non ti porterà a nulla. Qualunque cosa tu faccia, Sally non tornerà"
"Belle parole" rispose Fred "credo che dovresti dirle al Muto"
Edo non capì. Solo in quel momento Fred si voltò mostrando l'opera sulla quale si stava impegnando così tanto.
Tra le sue mani teneva la testa mozzata della madre del Muto, con gli occhi sgranati e l'espressione terrorizzata.
Edo si pietrificò. Si rifiutava di credere a ciò che i suoi occhi gli stavano mostrando. Sul tavolo, coperto fino al collo dal telo ammucchiato, il corpo esanime e senza testa della donna sgorgava ancora fiumi di sangue caldo.
Fred si avvicinò ad un lenzuolo alla sua sinistra e lo sollevò, sotto di esso si trovava la testa della sorella del Muto, anch'essa deformata dal dolore.
Edo non riusciva quasi a respirare. Era evidente che veder morire la sorella aveva causato a Fred un crollo psicologico. Terrorizzato, non diceva nulla.
Fred spinse per terra il corpo da sopra il banco da lavoro, dopodiché si voltò e scostò l'ennesimo telone; sotto di esso si trovava il fratello più giovane del Muto, spogliato, legato, imbavagliato ed evidentemente stordito.
Alla vista di Edo, il giovane inizio a lamentarsi ed urlare, implorando aiuto. Edo era pietrificato ed incapace di reagire.
Fred legò il ragazzo al tavolo, poi prese in mano il seghetto completamente schizzato di sangue che aveva posato poco prima. Il prigioniero vedendolo iniziò ad urlare ancora più forte e a piangere, terrorizzato, per quanto il bavaglio gli permettesse di fare.
"Vai a casa Edo" disse Fred "io qui devo lavorare ancora parecchio"
E incurante delle urla disparate, avvicinò con lentezza e precisione la lama dentellata alla gola del ragazzo.


Fine

sabato 2 agosto 2014

La Mia Storia

Una piccola chicca autobiografica per un anniversario a me molto caro.
Ciò che leggerete, per quanto romanzato, è la pura sacrosanta verità in ogni minimo dettaglio.

Era un umido e piovoso pomeriggio di Agosto, il 2 Agosto 2006 per essere precisi. Mi stavo recando al Lavoro Estivo Guidato, salendo sulla mia Ape Piaggio verde, con i miei sedici anni sulle spalle e un sorriso sul volto dovuto ai mondiali ancora freschi nella mia mente. Salendo, appoggiai una busta con dei documenti importanti per il mio lavoro sul sedile, poi chiusi lo sportello e mi avviai. Come ho detto pioveva, e dell'Ape si può dire tutto tranne che sia a tenuta stagna... Il vetro si appannò in pochi secondi, quindi aprii il finestrino. In quel momento la busta cadde sul tappetino zuppo d'acqua, proveniente da un forellino nella carrozzeria.
"Porca Tr**a, mi si bagna tutto!" pensai, e subito mi chinai per raccogliere i documenti. Ero a 50 metri da casa. Quella fatidica busta unita al vetro offuscato mi costarono caro... L'Ape impattò con una Mini parcheggiata a bordo strada, ed in una frazione di secondo mi ritrovai con la testa fuori dal parabrezza.
"Che è successo?" mi domandai vagamente stordito...
"... Me**a, ho cocciato!" mi risposi, e quindi alzai la testa. Mi ci vollero pochi secondi a decifrare il calore che sentivo scorrermi sul petto: dal mio collo stava sgorgando un fiume di sangue...
Mi toccai la ferita, il taglio era profondo ma non faceva male... non avevo problemi a respirare, quindi misi istintivamente una mano sul collo grondante e scesi in cerca di aiuto. La dinamica dell'incidente era chiara: avevo sfondato il parabrezza con la testa, ed i vetri vaganti mi avevano tagliato la gola. Barcollando mi avvicinai alla porta dei miei vicini (come ho detto ero a 50 metri da casa) sotto la pioggia scrosciante e con l'Ape ridotta ad una lattina schiacciata. Le mie vicine aprirono la porta prima che io bussassi, allarmate dal botto dell'incidente. La scena ve la lascio immaginare, un sedicenne con la mano sul collo completamente zuppo d'acqua se non di sangue, in piedi che barcolla. Dopo circa due secondi di attonito stupore, la mia naturale spiritosaggine emerse anche in quella situazione, e dissi:
"Mi chiamereste il 118, per favore?"
Una delle 2 svenne, l'altra prese il telefono. Io mi sdraiai su un divanetto, e subito accorsero tutti i vicini, seguiti dai parenti e dai miei genitori subito allertati. In mezzo a quel viavai di gente che urlava e si disperava io stavo sdraiato, guardando il soffitto, con un asciugamano bagnato sul collo, la cosa più tamponante a disposizione in quel momento.
Dopo circa 2 minuti i miei occhi cominciarono a spegnersi, visto che le perdite ammontavano a circa 1 litro, la vista stava passando dall'offuscato al nero.
Giunse l'ambulanza, e tra i soccorritori c'era il padre di un mio amico che mi chiese:
"Oddio, come ti senti?"
Io non volevo allarmare tutti più di quanto non lo fossero già quindi risposi, alzando precariamente le mani con gli indici e i pollici a pistola:
"Sto proprio bene!"
Mi tamponarono con qualche metro di garza e poi mi misero un collare per tenere il tutto insieme.
Chiamarono un elicottero da Modena (la città più vicina) ma le condizioni meteo non permettevano la partenza
Allora si rivolsero a Firenze, dove le condizioni meteo erano più calme: l'elicottero partì, ma dovette atterrare a diversi chilometri di distanza a causa del temporale. L'ambulanza mi porto a luogo stabilito, dove presi l'elicottero per il policlinico Careggi. Dopo un viaggio assordante, (io sempre sveglio nonostante le varie morfine) venni sottoposto a due tac e una risonanza magnetica (con calma, non c'è fretta). Dopodiché il primario disse
"Non mi fido a sbendarlo qui, andiamo in sala operatoria"
Lì fui addormentato, quindi ora parlo per sentito dire (peccato, sembra essere stata la parte migliore)

Non appena mi sbendarono, un getto di sangue uscì dalla mia gola: subito 2 dottori si gettarono sul taglio per tamponarlo (cosa che mi causò tra l'alto un lieve danno alla colonna cervicale) ma il fatto che io fossi rilassato aveva aperto tutto l'apribile, e lì persi altri 3 o 4 litri di sangue. I chirurghi si misero all'opera per riaggiustare il macello: il danno consisteva nelle lacerazione di 8 vasi tra cui la carotide desta, del muscolo sternocleidomastoideo e della tiroide, per una profondità massima di circa 12 centimetri. A lavoro finito passai 3 giorni in terapia intensiva, poi altri 4 in reparto. Dopo una settimana ero a casa. Gli unici danni riportati sono una bella cicatrice, il braccio destro soggetto ad addormentamenti frequenti ed un occasionale torcicollo



E un bel racconto.