lunedì 23 giugno 2014

7. Leggenda



Lio era talmente sbalordito da rischiare di cadere.
"L'ALCHIMISTA? QUELL'ALCHIMISTA?" urlò.
Derek, semplicemente conosciuto come l'Alchimista, era una leggenda tale su Nidhogg da essere quasi venerato.
L'uomo che aveva garantito a molti una via di salvezza.
L'uomo che aveva condannato a morte moltissimi altri.
L'uomo che aveva plasmato Nidhogg per quella che era.
L'uomo che aveva ideato l'Hub.
Eppure, a guardarlo tutto sarebbe sembrato tranne che una leggenda vivente: era basso, la dentatura sgangherata, un camice tutto unto e stropicciato e il pizzetto più ridicolo che Lio avesse mai visto. Tuttavia non c'era modo di smentire quanto quel vecchietto stava affermando.
“Non può essere” negò comunque Lio “Non può essere, l'Alchimista è morto decenni fa, ancora prima che Parcox arrivasse su Nidhogg!”
“Nidhogg?” chiese Derek, colto di sorpresa “tu sai di Nidhogg?”
“Certo che so di Nidhogg, è da lì che vengo! Questi stronzi sono piombati giù dal cielo, hanno distrutto tutto ciò che amavo e mi hanno portato via...”
“...proprio come me.” lo interruppe Derek, in un soffio.
I due si guardarono, attoniti e in silenzio.
“Siediti, giovanotto” lo invitò l'Alchimista “Abbiamo molto di cui parlare.”

Passarono ore a raccontarsi tutto, l'uno dell'altro.
Lio raccontò i suoi pochi ricordi prima di Nidhogg, di come fosse un semplice delinquente di strada, finché non lo arrestarono e non lo portarono sul pianeta. Raccontò di Parcox, dell'ascesa di West Braxis, della guerra con Hiver Hit, di come lui stesso divenne King, fino a che tutto quanto non venne cancellato in una sola notte.
Dopodiché venne il turno di Derek.
“Posso solo immaginare quale dolore possa significare per te tutto questo, ragazzo. Magari ti stupirà, ma per me non è andata tanto diversamente.
“Fui portato su Nidhogg quando avevo poco più di vent'anni. Producevo droga nella mia cantina, e campavo vendendola ai disagiati come me. Facevo la fame, e per tirarmi su di morale iniziai a farmi anche io. Mi presero mentre avevo una siringa piantata nel braccio, ci crederesti? Che coglione. Comunque mi spedirono senza troppe cerimonie in questa città immersa nel fumo verde, che ti rendeva calvo e con gente pronta ad accoltellarti dietro ogni angolo. Non ho mai saputo la storia di quella città, so solo che si chiamava New Braxis e che per qualche ragione era stata abbandonata dannatamente in fretta. Le case che non erano crollate erano ancora arredate e quasi ospitali, ma molto spesso erano già occupate da qualche altro carcerato pronto a difendere la sua proprietà col sangue.
“Ero solo e disperato; trovai rifugio in una cantina e rimasi lì per qualche giorno, ma presto iniziai ad avere fame. Appresi così dell'esistenza di un rifornimento quotidiano di viveri: perché ci nutrissero anche se eravamo costretti a marcire lì, non l'ho mai capito. Forse non volevano chiamarla condanna a morte, chi lo sa.
“Il rifornimento avveniva così: un soldato arrivava con una nave piena zeppa di scorte, apriva lo sportello posteriore e consegnava una scatola di vivande a chiunque ne facesse richiesta. Una sola a testa, nient'altro; se qualcuno faceva storie, provava a fare il furbo o piantava grane, la guardia apriva il fuoco.
“Il problema era che la guardia non portava mai abbastanza cibo per tutti. Semplicemente, quando le porzioni erano finite se ne andava e tanti saluti; e allora accadeva il finimondo, pugni, calci, morsi, lame e chi più ne ha più ne metta. I più grossi non si accontentavano di una sola porzione, e quindi prendevano ciò che volevano picchiando e uccidendo, se necessario.
“Capii ben presto che se volevo mangiare dovevo essere tra i primi della fila e sparire immediatamente dopo aver ricevuto la mia porzione, e infatti così riuscii a sopravvivere per un po' di tempo. Era dura, ma non avevo idea di cosa mi attendesse.
“Entrai in crisi d'astinenza molto presto. Avevo bisogno di trovare della roba da farmi il più presto possibile: rastrellai le case, rischiai la vita trovandomi faccia a faccia con dei pazzi invasati, ma non trovai niente che potessi usare per sentirmi meglio. Finché, dopo giorni, giunsi alla zona industriale della città. La situazione lì era molto diversa: nessuno ci metteva piede, e la maggior parte delle porte erano sigillate; impiegai un sacco di tempo e di energie tentando di entrare in uno degli edifici abbandonati, saltai addirittura dei pasti da quanto ero desideroso di trovare qualcosa. E indovina un po'? Trovai della muffa. Stanze su stanze tappezzate di muffa spessa due dita. Speravo di trovare degli agenti chimici dentro a quelle industrie, qualcosa che potesse regalarmi un po' di sballo, ma non trovai nient'altro che muffa, muffa e ancora muffa.
“Ormai avevo perso ogni speranza. Ero affamato e sfinito, e a quel punto mi chiedevo perché mi ostinassi tanto a cercare di sopravvivere. Fu in quel momento che feci la cosa più stupida, insensata e incosciente che avrei mai potuto fare: strappai un brandello di muffa dalla parete e me lo ficcai in bocca. Magari è avvelenata e mi ucciderà, tanto meglio pensai. Non mi sarei mai aspettato che mi avrebbe fatto l'effetto opposto.
"Il sapore era proprio osceno, era come masticare una spugna imbevuta di piscio. Sputai subito quello schifo, ma la spremuta che mi rimase in bocca mi donò nuova energia. Fu una sensazione incredibile, ma brevissima. Da quel momento non pensai più ad altro se non a rivivere quella sensazione.
"Mi stabilii lì tra le fabbriche; raggiungere la distribuzione del cibo richiedeva ora più tempo, ma non mi importava. perché finalmente avevo qualcosa che mi aspettasse una volta tornato a casa. Capii subito che dovevo raffinare la muffa per ottenerne un siero, quindi mi impegnai per trovare degli strumenti adatti allo scopo. Fu una faticaccia, e dovetti arrangiarmi parecchio con mezzi di fortuna, ma alla fine raggiunsi il mio scopo: distillai un bicchiere di droga liquida, sporca e rozza, ma dannatamente buona.
"All'inizio la assumevo bevendola, ma non era esattamente una buona idea”
“In che senso? Non funzionava?” domandò Lio
“No, no, funziona bene quasi quanto in vena. Però fa scoppiare una diarrea istantanea inarrestabile.”
“Fortuna che non ci ho mai provato.”
“Eheheh! Bè, trovai alcune confezioni di vecchie siringhe in una stanza in città, così iniziai a iniettarmela. Era perfetta. Una volta raggiunta la formula ideale avevo materia prima in abbondanza, quindi iniziai a produrre droga in quantità. Per me era più che sufficiente, quindi feci l'unica cosa che sapevo fare bene oltre a produrre droga: venderla.
“Prima la offrii a caso tra alcuni carcerati, poi furono loro a venire a chiedermela. In questo modo ero sempre il primo della fila a prendere le razioni, avevo tre pasti al giorno e nessuno minacciava di farmi del male; se fossi morto io la droga sarebbe morta con me.
“Fu allora che conobbi il più grosso, indistruttibile e inarrestabile figlio di puttana che si sia mai visto su Nidhogg. Lo chiamavano il Boia, perché mettersi contro di lui era una sentenza di morte. Inizialmente non gradiva il mio strapotere tra i carcerati, ma pian piano capì che alleandosi con me avrebbe avuto molti più vantaggi.”
“Aspetta, mi stai dicendo che tu avevi un socio?” lo interruppe Lio.
“Sì, certo!”
“È molto strano...ho sentito moltissime leggende sull'Alchimista, ma non ho mai sentito nominare questo Boia."
“Non mi sorprende: era un tipo che odiava le dicerie, e quando veniva a sapere che si parlava di lui reagiva sempre male; questo ha scoraggiato il diffondesi della sua fama. Anche quel nomignolo non gli è mai piaciuto, ed esigeva di essere chiamato semplicemente col suo nome di battesimo: Frank.”
Lio non rispose. Si limitò a rimanere a bocca aperta.
“Comunque sia, grazie all'aiuto di Frank presto tutta la popolazione di Nidhogg cadde sotto la dipendenza della mia droga. Ovunque andassimo i carcerati ci facevano largo e ci offrivano tutto quello che avevano in cambio di qualche dose: alcuni morirono pure di fame offrendoci tutto il cibo che riuscivano a raccogliere in cambio di droga, altri non avevano modo di iniettarsela, quindi la bevevano per poi morire di dissenteria, altri tentarono di rubarcela finendo inesorabilmente tra le grinfie di Frank. Non ci interessava nulla, non guardavamo in faccia nessuno. Eravamo i re di quella palla nebbiosa, ma non ci bastava. Volevamo di più. E quello fu il nostro errore.”
“Riuscimmo a far provare una dose alla guardia addetta ai viveri. I marine sono abituati ad usare doping per combattere meglio, perciò convincerlo non fu difficile. Il giorno dopo tornò volendone ancora, e poi ancora e poi ancora. Noi lo ricattammo, ottenendo così della merce irreperibile altrimenti su Nidhogg: dapprima strumenti per la sintetizzazione della droga, poi più cibo, ed infine una sconfinata serie di comodità, talvolta pure assurde, solo per far impazzire quello sfigato. Vivemmo così per un sacco di tempo. Non ricordo di essere mai stato meglio in vita mia.
“I carcerati ci adoravano e la guardia ci riforniva. La droga era il fulcro di tutto il nostro mondo, per questo la chiamai Hub. Dal suo nome trovai anche quello per la muffa, cioè Hubcum. È latino.”
“Ah sì? E che vuol dire?”
“E io che cazzo ne so? Se finisce in -um però è latino!
“Comunque, continuammo la nostra egemonia per mesi, continuando ad estorcere merci alla guardia. Talvolta ci portava più doni, e quindi lo ripagavamo con più dosi. Noi ci divertivamo, era come avere un cagnolino ammaestrato, tuttavia eravamo all'oscuro di quanto quella droga ci sarebbe costata cara: quell'idiota fu beccato, e le dosi extra furono sequestrate dal suo superiore, che le provò. Allora la richiesta raddoppiò. Poi un ufficiale fece lo stesso col superiore, e la richiesta triplicò. In breve tempo quasi tutto un ramo dell'esercito del Dominio era strafatto di Hub.
“Finimmo presto alle strette: non potevo preparare Hub a sufficienza per tenere a bada tutti i carcerati e per soddisfare le richieste di mezzo esercito. Dovevo lavorare anche di notte, mentre Frank dormiva e non poteva fare la guardia. Non mi accorsi mai di chi mi stesse spiando, ma qualcuno lo fece. E diffuse i segreti dell'Hub a tutti i carcerati.
“In un periodo incredibilmente breve, i carcerati smisero di ammazzarsi l'un l'altro alla rinfusa, e si organizzarono in piccole gang. Da un giorno all'altro passammo da sovrani indiscussi di Nidhogg a una coppia di sbandati, soli, in competizione con tutti per il possesso della muffa. Riuscimmo a cavarcela per un po', ma era diventata molto più dura. Come se non bastasse, oltre alla guardia iniziarono ad arrivare anche altri acquirenti, che portarono armi da fuoco per acquistare nuove dosi. Nidhogg divenne il teatro di una vera e propria guerra.
“Ed infine, una notte, arrivarono. Due Fantasmi comparvero dal nulla, mi tramortirono e mi portarono via, strappandomi a tutto ciò che avevo costruito.”
Derek si interruppe, con un'espressione delusa in volto. Ricordare quegli eventi gli causava una grande amarezza.
“C'era un tipo quando sono arrivato io su Nidhogg” riprese Lio “Si chiamava Joe, lo chiamavamo Nocche Dure perché era un picchiatore nato. Era grande e grosso, ma molto intelligente, ed era un appassionato di storia. Gli piaceva ascoltare e raccogliere tutte le testimonianze che riusciva a trovare, anche se molto spesso erano balle inventate di sana pianta. Lui raccontava sempre che l'Alchimista era morto dopo aver mescolato le droghe sbagliate. Era una specie di favola per insegnare ai novellini che devono stare attenti a quello che si ficcano in vena.”
“Eheheh! Come vedi non è andata così!” riprese Derek “mi hanno portato via, e non ho mai smesso di lavorare. Per anni sono rimasto segregato in questo laboratorio. Ma è questo il bello, ora l'Hub non ha più segreti per me. Sono andato oltre.”
Lio lo guardò stupito, mentre Derek si esibiva in un altro sorriso maligno.
“Che vuoi dire?” sussurrò Lio.
Prima di poter ricevere una risposta, le porte del laboratorio di aprirono e il marine entrò a prendere Lio per riportarlo nella sua cella; lui non staccò gli occhi di dosso al leggendario produttore di Hub.
“Torna da me domani, ragazzo” lo salutò Derek, mentre le porte si chiudevano “e ti farò vedere perché mi chiamano l'Alchimista.”

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