lunedì 19 maggio 2014

2. Cenere


Bruciore alla nuca, pensieri discordanti. Confusione.
Lio aprì gli occhi, lentamente; quel gesto fu sufficiente a farlo urlare di dolore.
Provò a portare le mani alle tempie, ma qualcosa le bloccava dietro la schiena. Allora provò ad alzarsi, ma anche le gambe erano bloccate. Un tintinnio gli suggerì che delle manette lo tenevano legato, polsi e caviglie.
Si trovava in una stanza quadrangolare, le cui porte scorrevoli erano chiuse. L'intero ambiente era fatto di grigio e freddo metallo.
L'emicrania lanciò una scossa attraverso la testa di Lio, che strinse gli occhi e urlò di nuovo. Lentamente riprese a respirare profondamente, nel tentativo di schiarirsi le idee.
Fu allora che l'immagine peggiore che avesse visto in vita sua tornò nei suoi occhi, dolorosa e lacerante come nel momento in cui si era impressa nei sui ricordi: Zero. A terra, morto. E lui, al suo fianco, immobile, impotente.
Lio spalancò gli occhi. Era reale. Zero non c'era più.
“No! NO!” urlò, agitandosi nell'inutile tentativo di liberarsi. Tutto ciò che riuscì a fare fu un movimento scoordinato, come un pesce che rantola fuori dall'acqua prima di morire.
“No, cazzo no! NO! Zero! ZEROOO!!!” cominciò ad urlare con quanto fiato aveva in gola. Le vene del suo collo si erano gonfiate ed era diventato rosso in viso, vittima di uno sforzo perfettamente infruttuoso.
“ZERO CAZZO, ZERO!” continuò a sbraitare, sbattendo ripetutamente la testa a terra con tutta la forza a disposizione.
“Zero...” ripeté un'ultima volta, con voce sempre più rotta. Dopodiché scoppiò in lacrime: un pianto disperato e senza freni.
Quello che fino a poche ore prima era il Paradiso di Lio, costruito con sudore e sangue in anni e anni di permanenza sul pianeta più ostile mai visto, era andato completamente in pezzi. Non c'era più nulla a cui aggrapparsi, la bandiera che fino a quel momento aveva fatto da fulcro nella sua vita si era staccata dall'asta ed era volata via, nelle tenebre.
Non riusciva a smettere di piangere, tanto che i singhiozzi lo portarono quasi a vomitare. Non c'era più nulla da fare. Tutto era perduto.
“Oh, suvvia. Un uomo grande e grosso come te che piange come una bambina senza caramelle?”
Quella voce. Era la stessa che aveva dato l'ordine di uccidere Zero, dall'altoparlante.
Lio alzò lo sguardo; non si era reso conto che la porta automatica davanti a lui si era aperta. Al di fuori di essa, un uomo alto coi capelli grigi ed un sorriso beffardo, avvolto in un lungo impermeabile nero, osservava il suo prigioniero con interesse.
“Se hai finito, dovrei chiarire alcuni dettagli...”
Si avvicinò a Lio, che se ne stava a terra incatenato lasciando in vista la schiena nuda; era rimasto infatti con addosso solo i pantaloni larghi.
“Bel tatuaggio” commentò lo sconosciuto, osservando il grande simbolo WB sulla schiena “deduco che fai parte del famigerato West Braxis.”
Lio continuò a fissarlo; chi diavolo era quello? E come sapeva di West Braxis?
Nonostante le molte domande che gli balenarono in testa, non aprì bocca. Un blocco allo stomaco, stretto come se una corda lo legasse, gli impediva di parlare, aggravato dalla disperazione e dal rancore per l'uomo che aveva di fronte, evidentemente colui che gli aveva appena distrutto la vita.
“Strano, mi aspettavo una reazione un po' diversa” commentò l’uomo, accosciandosi “comunque, dal modo in cui sbraitavi ordini e dalle tue cicatrici, deduco che eri un veterano, un pezzo grosso all’interno di quel branco di tossici. Me lo confermi?”
Lio strinse i denti e non disse nulla.
Lo sconosciuto parve moderatamente divertito da quell’atteggiamento; aprendo il suo impermeabile, prese dalla tasca interna una pistola, e la puntò alla testa del suo prigioniero.
“Sai, se dovessi aver preso l’uomo sbagliato avrei tutto il diritto di sbarazzarmi di te subito. Ora, fai il bravo e rispondimi, anche solo con un cenno: sei tu lo scarafaggio dominante, in quella nauseabonda discarica?”
Gli insulti rivolti alla sua casa non fecero altro che aumentare la rabbia di Lio che, imperterrito, fissava il suo aguzzino con gli occhi arrossati dalle lacrime e dalla collera. La pistola alla tempia non lo spaventava minimamente, anzi; dopo tutto il dolore che aveva appena vissuto, una fine immediata sarebbe stata una benedizione.
“Uhm...no” disse l'uomo, sollevando l'arma “dopotutto non vali lo spreco di un proiettile. Di sicuro sei di West Braxis, e di sicuro ci hai passato molto tempo. Questo mi basta.”
Detto ciò, rinfoderò la pistola e si sollevò in piedi.
“Toglimi almeno una piccola curiosità: per quale assurda ragione avete ucciso Bellinger?”
Lio rimase un paio di secondi a riflettere, poi, con voce rotta, chiese “Chi diavolo è Bellinger?”
Lo sconosciuto si mise a ridere. “Bellinger, il mio predecessore. Il povero drogato fallito a cui avete estorto per anni materiale di proprietà del Dominio”
Di nuovo Lio si concentrò per capire di chi diavolo stesse parlando; poi realizzò: il Magistrato, l'uomo che aveva ucciso Parcox in preda alle allucinazioni da Turok.
Predecessore. Quello che aveva davanti era dunque il nuovo Magistrato.
“Lo abbiamo cercato per un sacco di tempo, poi finalmente i grandi capi si sono decisi a darlo per disperso. Io sono stato designato come suo sostituto, e una volta preso il suo posto ho avuto accesso a tutta la sua banca dati. Diari personali, elenchi, appunti...ci ho messo più di un anno a recuperare tutti i segreti che quel disgustoso drogato teneva nascosti per paura di macchiare la propria reputazione.”
Si piegò in avanti e, guardando Lio con aria di scherno, aggiunse “Ma io non sono lui. Io non dipendo da voi, non ho bisogno di voi, e non ho paura di prendermi ciò che mi serve.”
Rialzandosi, si diresse verso l'uscita.
Lio non gli staccò gli occhi di dosso nemmeno per un istante; ora tutto ciò che desiderava fare era eliminare quell'uomo. Non avendo più nulla, ne sogni ne progetti, tutto ciò che restava era la vendetta.
“Smettila di fare il cattivo” disse il Magistrato, dandogli un ultimo sguardo “tu mi darai ciò che ti chiederò, che tu lo voglia o no. Non c'è nessuna alternativa per te, dopotutto. Ah, fossi in te non mi preoccuperei più di Nidhogg” concluse, premendo il tasto di chiusura della porta automatica “I miei uomini stanno ultimando il lavoro. Ormai i tuoi amici tossici sono tutti morti.”
Il sordo rumore delle lastre metalliche spezzò quell'ultima frase. E tutte le ultime speranze.

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#WelcomeToNidhogg

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